Dal Vangelo secondo Matteo 20, 1-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Don Gabriele commenta il Vangelo di oggi
Il protagonista della parabola narrata da Gesù in questa pagina evangelica appare per lo meno come un imprenditore stravagante, simile per certi versi a un suo “collega” presentato nel celeberrimo film “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato”.
Una stravaganza che però ci lascia per certi versi perplessi, perché non solo difficilmente comprensibile, ma anche un po’ ci indispettisce pensando al fatto che trasgredisce quel senso di giustizia del quale ci parla anche Aristotele nell’Etica Nicomachea, dove è espresso quel concetto di equità che poggia sulla corrispondenza tra azione e ricompensa: “Il giusto, quindi, è la proporzionalità”.
La parabola del padrone della vigna
Entrare nel pensiero di Dio però non è sempre così facile e semplice.
Il fatto che Gesù metta in atto un processo attraverso il quale anche i principi umani, come il senso di giustizia, vengano per certi versi destrutturati e indirizzati a orizzonti per noi insicuri e apparentemente poco vantaggiosi ha come finalità ultima il condurci a nuove prospettive, certamente più ampie, che ci permettono di assaporare e vivere una vicinanza più intima con il Padre.
La parabola del padrone della vigna o, come spesso è denominata, degli operai dell’ultima ora, ha parecchie assonanze con quella più struggente, perché contestualizzata nell’intimità familiare, di quella del padre misericordioso e dei due figli.
Sebbene le implicanze affettive siano diversificate (il padre ne è più compromesso rispetto il padrone) il risultato finale è simile: chi umanamente ha fatto il proprio dovere appare depauperato di qualcosa, per certi versi anche sconfitto, perché le situazioni premiano maggiormente chi è in difetto, che sia il passato sregolato del figliol prodigo come pure la sola ora lavorativa degli ultimi operai.
Aprire gli occhi e riconoscere quanto abbiamo nelle nostre mani
“Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi” sentenzia Gesù come chiosa finale alla parabola ed è facile immaginare il silenzio incredulo dei suoi uditori come conclusione relativa a quel suo “strano” insegnamento.
Eppure l’appello a questi ultimi evidenzia aspetti che trovano fondamento nella domanda lapidaria del padrone: “Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”
Ed è proprio questo senso profondo della bontà di Dio che fa la differenza: percepisce e accoglie chi palesa di avere bisogno di Lui, a iniziare dalle cose concrete e primarie per sussistere e insieme apre a quelle prospettive diverse che appartengono e avvicinano al cuore stesso del Signore.
Gli operai della prima ora come il figlio maggiore rimandano invece alla tentazione primordiale dell’uomo di ritenersi autosufficiente, di instaurare con Dio un rapporto quasi commerciale di dare e avere, nell’improbabile illusione di poter intrattenere con Lui una relazione paritetica per poter salvaguardare la propria autoreferenzialità.
Peccato che questi porti a non poter apprezzare la bellezza e la profondità di un esistente che è già manifestazione del Suo amore: stare nella casa del padre come nella vigna del padrone non è altro che il linguaggio simbolico attraverso il quale Gesù non vuole certo spronarci al disimpegno o a un risultato con il minimo sforzo quanto piuttosto aprire i nostri occhi a quanto già abbondantemente Dio ha versato nelle nostre mani e nel riconoscere di averne estremamente bisogno.
Il dono d’ampre
Essere suoi discepoli non è allora qualcosa che si basa su una fredda legge del contraccambio, quanto piuttosto all’assunzione di una consapevolezza di un dono d’amore al quale siamo chiamati a corrispondere con responsabilità affettiva ed effettiva, attraverso un linguaggio esistenziale consono e corrispondente che diventa risposta personale a quella beatitudine del Regno alla quale Egli ci invita e ci chiama nel dono gratuito di Sé, condividendo con noi la gioia che anche gli ultimi ne sono resi partecipi.