Domenica 17 settembre. Don Gabriele commenta il Vangelo: la dimensione del perdono

Vangelo commento
Don Gabriele Frassi

Dal Vangelo secondo Matteo 18, 21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Don Gabriele commenta il Vangelo

La domanda che Pietro rivolge a Cristo riguardo il tema del perdono e a “quante volte” debba essere esercitato dal discepolo nei confronti della stessa persona dalla quale ha subìto torti, induce Gesù alla narrazione di questa parabola che subito a una prima lettura colpisce per la ricchezza di paradossi e l’estrema drammaticità delle azioni.
In maniera molto sintetica si potrebbe dire che il racconto parabolico si sviluppa in tre scene.

I tre quadri della parabola

Il primo quadro del racconto, che parte dalla resa dei conti che il padrone esige è caratterizzato dall’inaspettato condono dell’esorbitante debito (un talento equivaleva a 34 kg d’oro!) attuato nei confronti di quel servo insolvente. Il perno centrale di questo primo momento è l’atteggiamento del padrone che “ebbe compassione” o che per meglio dire “si mosse a compassione perché commosso nel suo cuore”.
Il secondo quadro, incentrato sull’incapacità del servo “spietato” di condonare a un suo collega quei cento denari lontani anni luce dall’ingentissima somma della quale era appena stato graziato, si fonda invece sull’inettitudine di quest’ultimo nel “provare compassione” e di voler esercitare il suo potere: “Non volle”.
La capitolazione finale del terzo quadro è consequenziale alla scelta di fondo del servo spietato: la compassione del padrone è trasformata in sdegno sia perché non ha saputo liberare l’altro servo dal debito, sia perché l’enorme investimento d’affetto, di pietà e di fiducia che il padrone aveva esercitato su di lui non era stato per nulla interiorizzato e assunto come occasione e stile da esercitare nei confronti degli altri.

La dimensione del perdono: la sperimentiamo dal cuore di Dio

In “Misericordiae Vultus”, la bolla di indizione dell’anno della Misericordia, papa Francesco, commentando questa parabola, così si esprimeva: “Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”.
La dimensione del perdono, così articolata e complessa, è estremamente onerosa dentro di noi poiché in contro tendenza alla logica umana: è infatti dal cuore di Dio che la sperimentiamo e siamo chiamati ad attingervi.
Grande responsabilità accettiamo quando nella preghiera del Padre Nostro diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Gesù ci consegna, in quella che per eccellenza è la preghiera del discepolo, la modalità attraverso la quale non solo assumiamo la consapevolezza di essere perdonati, salvati, attraverso il dono grande del suo sacrificio mediante il quale siamo stati riscattati dal nostro debito quale è l’esperienza del peccato, ma anche dal fatto che questa appartenenza è reale e ci appartiene solo se a nostra volta siamo generativi nell’arte del perdonare.
Se non sappiamo “rimettere il debito” non solo interrompiamo il sentiero che ci conduce al fratello, ma anche quello che ci conduce e ci fa stare con Dio.

L’invito di Cristo a perdonare

Ai funerali di Vittorio Bachelet, vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, già presidente di Azione Cattolica, ucciso dalle Brigate Rosse il 12 febbraio del 1980, il figlio Giovanni ebbe a pronunciare questa preghiera che scosse e scuote tutt’oggi le coscienze di ognuno di noi, in una drammatica e significativa attualizzazione dell’invito di Cristo a perdonare:
“Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.