Domenica 18 giugno. Don Gabriele commenta il Vangelo: riscoprire in Cristo la gioia dell’incontro e la dolcezza della sua cura per noi

Don Gabriele Frassi

Dal Vangelo secondo Matteo 9,36-10,8

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Il commento al Vangelo: l’impronta missionaria

La pagina evangelica di questa domenica viene caratterizzata da una spiccata impronta missionaria che all’inizio del brano viene riferita a Cristo ma che poi, nel finale è consegnata da Gesù agli apostoli con l’elezione e conferendo loro un mandato.
Purtroppo il lezionario liturgico omette il versetto 35 del capitolo 9 che precede l’incipit di questo brano, dove vengono specificati i verbi che determinano l’agire di Gesù: andare, insegnare, predicare e curare, azioni che similmente vengono poi riferite alla missione degli stessi apostoli.
Sempre in riferimento agli apostoli è fondamentale la scansione con cui si determina la loro vocazione: prima di tutto è necessaria la sequela reale a Cristo e poi l’invito ad annunciare l’avvento del Regno.
Un mandato, la vocazione, che non avviene per desiderio o per volontà del singolo, ma per elezione (l’elenco dei nomi dei dodici) da parte del Signore, per sottolinearne e mettere in risalto lo specifico della gratuità del dono: più avanti infatti Gesù dirà “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

La compassione e la cura delle persone

Che colpisce poi è l’attenzione che l’evangelista pone nel sottolineare la dimensione emotiva di Gesù dando grande risalto al fatto che egli provi “compassione” per le folle perché erano “stanche e sfinite, come pecore senza pastore”.
Vi è una compartecipazione assai intensa da parte di Cristo, paragonabile a quello stesso sentimento che provò nell’incontro del giovane ricco descritto da Marco: “Gesù, guardandolo lo amò”.
Lo sguardo di Gesù è intenso, penetrante, con una capacità inclusiva nell’assumere e fare parte di sé la fragilità, la stanchezza, l’angoscia e lo smarrimento esistenziale dell’uomo.
La compassione provata conduce il Signore a percepire la sofferenza dell’altro, il vuoto che si muove nel suo cuore e a declinare il desiderio provato nel suo intimo nell’alleviare tale fatica ponendosi accanto, attraverso una relazione profonda e dai forti contorni empatici.
Che l’annuncio sia accompagnato, a volte preceduto, dalla cura delle persone, soprattutto le più fragili indica inoltre quanto il desiderio di Dio corrisponda alla totalità del loro essere, alle piaghe del loro corpo come a quelle del loro cuore.
Scriveva il cardinal Martini: “Così Dio si prende cura di noi, non cerca il proprio tornaconto, il proprio vantaggio, ma se ci chiede qualcosa è per il nostro bene e tutto opera perché noi siamo felici, perché arriviamo alla pienezza della nostra realizzazione profonda”.
La cura di Dio diviene efficace se realmente viene accolta anche nel suo aspetto dinamico di rigenerazione e conversione.

Riscoprire in Cristo la bellezza e la gioia dell’incontro e la dolcezza della sua cura per noi

In questi giorni, camminando per le vie di Crema mi è capitato di assistere a una scena tenerissima: un giovane papà teneva per mano suo figlio dall’apparente età di quattro o cinque anni. Il padre manifestava tanta attenzione, teneva ben stretta la mano del bambino, lo chiamava con appellativi dolcissimi, ma insieme, con delicatezza e determinazione, lo incoraggiava a essere più collaborativo e disponibile dato la sua postura nel camminare scomposta, svogliata e insicura.
Questa delicata immagine familiare risulta alquanto iconica nel dare rappresentazione della cura e della relazione che Dio ha con noi: non ci abbandona ma ci tiene per mano, ci rialza dalla cadute, ci sprona e attende che noi prendiamo il passo per camminare con lui.
La cosa straordinaria e stupefacente della grande considerazione che Egli ha di noi sta proprio nel fatto che, tendendoci sempre la mano, non si impone a noi e attende da parte nostra una risposta che sia effettivamente libera, perché senza questa libertà non vi può essere una reale corrispondenza al suo amore per noi. Forse il primo passaggio che dobbiamo fare è allora scoprire o riscoprire in Cristo la bellezza e la gioia di questo incontro e la dolcezza della sua cura per noi.

don Gabriele Frassi