Domenica 21 maggio. Ascensione del Signore

Dal vangelo secondo Matteo 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Il commento di don Marco al Vangelo

Il breve testo di san Matteo che ci viene proposto dalla Chiesa in questa giornata – si tratta dei versetti 16-20 del capitolo 28 – non contiene alcun esplicito riferimento all’ascensione di Gesù al cielo. Per la verità, in nessun passo del primo Vangelo – che ci sta accompagnando nelle domeniche di quest’anno – si fa menzione di questo episodio della vita terrena del Signore, a differenza del racconto offertoci dagli altri evangelisti. Perciò, la Liturgia affida agli Atti degli Apostoli (1,1-11) la narrazione del fatto storico in sé, mentre assegna al brano evangelico il compito di spiegarne il significato profondo, offrendoci materiale su cui riflettere.

La Galilea è la nostra realtà quotidiana

Innanzitutto, siamo nel contesto delle apparizioni di Gesù, successive alla sua risurrezione. Gli Undici, peraltro, hanno compiuto con l’indicazione che l’angelo aveva offerto alle donne la mattina di Pasqua – «Andate a dire ai suoi discepoli […] “vi precede in Galilea: là lo vedrete”» (28,7) – tornando in una località che non è soltanto quella in cui hanno fatto esperienza di Gesù per tutto il tempo della sua vita pubblica, ma è anche quella in cui sono nati e cresciuti, in cui hanno lavorato e han messo su famiglia.
La Galilea – fuor di metafora – è la nostra realtà quotidiana, dalla quale non dobbiamo mai scappare, neppure quando essa ci appare difficile o inaccettabile. Sebbene il Signore ci dia spazi e tempi che sono colmi di Spirito – come la preghiera, l’Eucaristia, un ritiro spirituale, un pellegrinaggio – alla fine, il punto in cui tutto si gioca per davvero è la realtà concreta in cui viviamo. Per dirla in modo schietto: la Messa è importante, ma la vita lo è ancora di più! È lì che si gioca, per davvero, la nostra fede, perché è lì che la sua Presenza – invisibile – è sottoposta all’ipotesi del dubbio. Infatti, i discepoli appena tornarono a casa – e seppure Matteo aggiunga: “Lo videro” – essi “dubitarono”! Questo fatto non ci stupisce affatto, poiché anche noi, ogni volta che affrontiamo una difficoltà, una malattia, un problema, cioè ogni volta che ci viene chiesto di aprire gli occhi per riconoscere che lui è qui con noi, adesso, subito siamo attanagliati dai dubbi.

La paura di rimanere da soli

Ma la risposta di Gesù, qual è? «A me è stato dato ogni potere, in cielo e sulla terra»! Perché, dunque, avere paura? Perché avere dubbi di fede? Quando sappiamo che Dio vince le nostre paure più profonde? Sì, perché di per sé la paura più grande che abita il cuore dell’uomo è quella di rimanere da soli: morire o soffrire hanno potere su di noi e ci fanno paura soltanto perché abbiamo il timore di essere abbandonati, nella morte e nella sofferenza.
Gesù, però, non ci dice soltanto che lui può tutto, ma aggiunge subito: «Io sono con voi tutti i giorni». Il Vangelo di Matteo – chiamato anche “ecclesiastico” – dovrebbe averci fatto comprendere ormai da tempo che il nuovo modo di Presenza di Cristo nel mondo, dalla sua morte in poi, è la Chiesa. Infatti, per vincere la paura e i dubbi, per continuare l’opera della redenzione iniziata dall’Emmanuele (il Dio-che-è-con-noi), è richiesto a me e a te di edificare il suo corpo mistico, chiamando tutti gli uomini a diventare discepoli. Questa richiesta, naturalmente, ci mette in crisi: a quanti dei nostri amici o parenti abbiamo mai fatto esplicita proposta di seguire Gesù? A quante persone che in un momento particolare della propria vita si sono rivolte a noi per un parere, ci siamo permessi di consigliare loro di osservare quanto indicato da Gesù?

Cristo è nella realtà umana

Nel lasciare questo mondo per salire al Padre, Gesù, pertanto, non ci abbandona: anzi, salvando la nostra libertà – perché sarebbe difficile non credere che lui sia Dio, se ancor oggi camminasse per le nostre strade – ci investe del compito di essere suoi rappresentanti, di essere prolungamento della sua Presenza nel mondo, di essere “Cristo” per i nostri fratelli, di essere veramente (e non solamente di nome) cristiani.
Gesù non ci abbandona, ma chiedendoci di diventare “altri Cristo”, si moltiplica, potenzialmente all’infinito, fino a raggiungere gli estremi confini del mondo, in modo tale che ogni volta che un suo discepolo mette in pratica il Vangelo, chi lo incontra è messo nella condizione di vedere, ascoltare e toccare la carne di Cristo. Cristo entra nei cieli per entrare nella profondità di tutta la nostra realtà umana.

don Marco Scandelli
Vicario Giudiziale aggiunto a Bologna
e docente di Diritto Canonico