Storici dell’arte in libreria. Sabato 13 maggio interverrà Olga Piccolo

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Sabato 13 maggio 2023 nelle scuderie di Palazzo Terni de’ Gregorj si terrà il trentaquattresimo appuntamento della rassegna ‘Storici dell’arte in libreria’, organizzata dalla Libreria Cremasca. Ospite sarà Olga Piccolo che presenterà il volume: Olga Piccolo, La collezione dispersa. Le opere Cagnola-Lattuada prima e dopo l’asta Geri del 1916, Scripta, Verona 2023. Ecco l’intervista esclusiva alla studiosa.

Dott.ssa Piccolo, quale è stato il suo percorso di studi e come è arrivata a occuparsi di storia dell’arte?

Mio papà era un ingegnere ma nel tempo libero dipingeva e realizzava degli oggetti artigianali. Ricordo che quando ero piccola mi aveva portato a visitare il Sacro Monte di Varallo e ne ero rimasta molto affascinata. Al liceo avevo un’insegnante di Storia dell’Arte molto preparata: si era diplomata alla Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte e trasmetteva la sua materia con grande passione. Così ho deciso di iscrivermi a Lettere con indirizzo storico-artistico alla Statale di Milano e di completare il percorso con la Scuola di Specializzazione, che ho frequentato all’Università Cattolica sempre a Milano. Alcuni anni dopo, ho conseguito il Dottorato di ricerca all’Università Statale di Bergamo. Da allora ho ripreso a occuparmi di ricerche e pubblicazioni più intensamente e attualmente sono un collaboratore storico dell’arte del Ministero della Cultura.

 La prima cosa che balza all’occhio del libro è l’insolito piccolo formato (12,5 x 16 cm). Come mai questa scelta?

Il primo motivo è molto poco poetico: avevo a disposizione un budget limitato e così, ispirandomi a un precedente libretto in formato tascabile che avevo già pubblicato, ho pensato di lavorare su un formato piccolo. Volevo, però, che fosse un libro curato dal punto di vista grafico. Così ho chiesto a un collega storico dell’arte, esperto di grafica (Edoardo Sala), di studiare assieme un progetto grafico specifico per questo volume. Abbiamo scelto il carattere, le dimensioni, come realizzare le testatine in alto e il decoro attorno ai numeri delle pagine, che riprende un disegno Art Déco presente sul catalogo dell’asta da cui è derivata la ricerca. Per la copertina abbiamo scelto un dettaglio di un dipinto della collezione che sono riuscita a identificare in un’asta di Christie’s a Londra. Un dipinto di qualità, ma ancora oggi misterioso per quanto attiene l’attribuzione. Mi sono poi rivolta a un editore di Verona, Scripta, molto professionale e con cui avevo già realizzato altri lavori editoriali. Sono rimasta molto contenta del risultato: è un piccolo libro d’arte che si può portare sempre dietro, come una guida per un viaggiatore.

La ricerca prende avvio dal ritrovamento di alcune copie del catalogo dell’asta milanese (1916) che presentano delle annotazioni manoscritte che hanno permesso di identificare chi fosse l’anonimo “eminente patrizio bergamasco” proprietario della collezione in vendita.

Esatto, tutto è nato dal ritrovamento di alcuni esemplari postillati della prima asta milanese di Alfredo Geri, l’antiquario fiorentino divenuto celebre per avere contribuito alla restituzione al Louvre della Gioconda di Leonardo, dopo il furto del 1911. L’incanto veniva presentato sul frontespizio in forma anonima e come relativo alla collezione di un “eminente patrizio bergamasco”. Il primo esemplare ritrovato reca la nota manoscritta “Cagnola!” ed è stato individuato, presso una libreria antiquaria, da Stefano Bruzzese, l’autore dell’ampio saggio di contestualizzazione che segue la prefazione di Alessandro Rovetta.

Inizialmente pensavamo che l’indicazione fosse una nota di possesso e che l’asta riguardasse una collezione solo bergamasca. Invece – grazie alle notizie rinvenute sul lotto di vendita di una cornice assemblata con alcuni rilievi della bottega degli Embriachi, provenienti dalla Certosa di Pavia e citati nelle diverse edizioni del testo sulla certosa di Luca Beltrami – abbiamo potuto appurare, con Andrea Bardelli (già Conservatore della Villa Cagnola di Gazzada, Varese), che l’incanto era relativo alla collezione di Costanzo Cagnola (1867-1925), cugino del più noto Guido (1861-1954), l’animatore della raccolta ancora oggi custodita a Gazzada. Tale identificazione è stata confermata dal successivo ritrovamento, presso la Biblioteca Storica dell’Accademia di Belle Arti di Brera, di un secondo esemplare postillato da Gustavo Frizzoni, il quale ricordava che anche la biblioteca messa all’asta apparteneva ai Cagnola.

Infine, fondamentale è stato il ritrovamento di un terzo esemplare con una postilla che reca l’indicazione di appartenenza della raccolta, non solo a Costanzo Cagnola, ma anche ai Lattuada, la famiglia milanese che fece realizzare (nel 1883-1885) la neogotica e fiabesca Villa Lattuada a Casatenovo (Lecco). Nel corso della ricerca ho potuto mettere in luce che le due famiglie, Cagnola e Lattuada, erano strettamente legate da relazioni di amicizia, parentela e affari. Si è venuto in tal modo delineando un rilevante episodio di collezionismo lombardo tra Otto-Novecento che era rimasto sino ad oggi inesplorato.

 

Il volume, dunque, avvia lo studio della collezione di opere d’arte messa assieme dal milanese Giovanni Battista Cagnola (1825-1901) e poi venduta dal figlio Costanzo (1868-1925). Quali sono i momenti principali della vicenda collezionistica?

La collezione oggetto dell’asta era stata assemblata da Costanzo principalmente riunendo le raccolte del padre Giovanni Battista (deceduto nel 1901) e della madre Rosa Gambarini (deceduta nel 1889) ed è speculare – per quantità e tipologia di oggetti conservati (arte antica e di Ottocento, dipinti ma anche tantissimi oggetti di arti applicate) – alla raccolta riunita dal fratellastro di Giovanni Battista, Carlo Cagnola, ed ereditata dal figlio Guido (oggi a Villa Cagnola, Gazzada). Costanzo non fu un vero e proprio collezionista, aveva studiato Legge e si era dedicato principalmente ad attività imprenditoriali nel campo chimico e farmaceutico, senza, tuttavia, un grande successo. Morì piuttosto giovane (a 56 anni) e si dovette indebitare molto – si racconta che avesse il vizio del gioco -, tanto da essere costretto a vendere l’intera raccolta di famiglia.

La dispersione avvenne a partire dal 1912 quando furono alienati al famoso banchiere e filantropo americano, John Pierpont Morgan (1837-1913), alcuni rilievi dalla bottega degli Embriachi, ora al Metropolitan Museum di New York. Nella presentazione del catalogo, Geri segnalava la volontà di acquisizione di tutta la collezione da parte di Morgan, che avrebbe “lungamente” trattato l’acquisto delle opere e le cui negoziazioni furono “troncate” a causa del decesso, avvenuto a Roma tre anni prima dell’incanto.

Alla morte di Morgan, Costanzo raccontava al cugino Guido di avere portato avanti “l’affare” degli avori “pressato da urgente bisogno”; nelle missive ritrovate a Marti (Pisa), presso l’Archivio Majnoni d’Intignano, emerge che Costanzo aveva cercato di vendere altri pezzi della collezione, anche tramite Achille Majnoni, architetto e amico delle famiglie Cagnola, sino ad arrivare – durante il primo conflitto mondiale – alla decisione dell’asta.

Tramite una ricerca nei fondi fotografici del Castello Sforzesco di Milano, ho potuto mettere in rilievo che la raccolta di Costanzo era conservata, a inizio Novecento, nel Palazzo Stampa di Soncino Borgazzi, in Corso di Porta Vittoria a Milano. Infine, le missive ritrovate a Marti confermano che alcune opere dell’asta facevano parte della collezione dei Lattuada e dovevano essere conservate nella loro villa di Casatenovo.

 Al pubblico è nota la collezione costituita da Giuseppe (1776-1855), Carlo (1828-1895) e Guido (1861-1952) Cagnola oggi custodita nella omonima villa di Gazzada (VA). Quali furono i rapporti di parentela tra questi Cagnola e i nostri Giovanni Battista e Costanzo?

Costanzo era figlio di Giovanni Battista Cagnola (1825-1901) e Rosa Gambarini (deceduta nel 1889). Giovanni Battista era a sua volta figlio del primo matrimonio di Giuseppe Cagnola (1776-1855) e della contessa Marianna Parravicini, quindi fratellastro di Carlo Cagnola (1828-1895), padre di Guido (1861-1954). Carlo era, infatti, il figlio del secondo matrimonio di Giuseppe, sposatosi in seconde nozze con Rosa Tarsis Cagnola (1807-1875). Guido e Costanzo erano dunque cugini; intrapresero scelte professionali e di vita differenti, sviluppando due personalità opposte che hanno segnato per sempre il destino della collezione di famiglia. Guido aveva a lungo coltivato l’interesse per l’arte, fu fondatore e direttore della rivista “Rassegna d’Arte” (1901-1922), nel 1946 è con lui che fu perfezionata la donazione della Villa Cagnola di Gazzada e della relativa collezione alla Santa Sede che vi istituì un museo e un Istituto di Studi Religiosi. La donazione previde il vincolo della totale inalienabilità delle opere, che, infatti, sono ancora oggi conservate nella villa. Si tratta di una storia di conservazione e difesa del patrimonio artistico italiano molto differente rispetto a quella che interesserà la collezione di Giovanni Battista e poi di Costanzo, interamente dispersa.

 La moglie di Giovanni Battista e madre di Costanzo, Rosa Gambarini, possedeva una villa a Verdello, oggi sede del Municipio. Quali opere restano a testimonianza della famiglia Cagnola nel paese bergamasco?

La famiglia della madre di Costanzo aveva la sua residenza a Verdello nella villa ‘Gambarini-Cagnola-Giavazzi’, costruita nei primissimi anni dell’Ottocento per volontà di Carlo Maria Gambarini. Nel 1850 la dimora – in stile neoclassico e con un ampio giardino – fu ereditata da Rosa Gambarini, l’ultima erede della famiglia ed è ora la sede del Municipio di Verdello. Nella collezione del Comune di Verdello si conserva una mappa del XIX secolo con i possedimenti di Rosa Gambarini nel Verdellese e, grazie alla ricerca oggetto del volume, abbiamo potuto individuare nel Mausoleo di Verdello, ove già sapevamo che compaiono le lapidi e le salme di Costanzo, dei genitori e della moglie Elena Mazzucchelli, le lapidi e le salme anche di Giuseppe Cagnola e del figlio Carlo. Inoltre, grazie alla cortesia di uno storico di Verdello, l’architetto Riccardo Scotti, ho potuto rintracciare, nel mausoleo, il busto in marmo della seconda moglie di Giuseppe, Rosa Tarsis Cagnola (la nonna di Guido), il cui bozzetto è presso il Museo Vela di Ligornetto. Il Museo ha confermato che si tratta di un busto autografo di Vincenzo Vela e stiamo ora lavorando a un progetto di valorizzazione del monumento che è un piccolo museo di sculture, oltre che un piccolo gioiello architettonico.

 Una delle opere più importanti della collezione furono gli avori intagliati della bottega di Baldassarre degli Embriachi. Cosa sappiamo dei passaggi di proprietà di queste opere che per un periodo imprecisato – entro il 1865 – furono nel Palazzo Turina di Casalbuttano?

I rilievi appartenevano a due scrigni per reliquie commissionati da Gian Galeazzo Visconti per la Certosa di Pavia. Verso la metà del XVIII secolo, furono smembrati e reinstallati in un ‘armadio d’avorio’ nella foresteria. Nel 1782, in seguito alla soppressione dei Certosini per decreto dell’Imperatore Giuseppe II, furono donati all’abate architetto Benedetto Tordorò, consigliere di Stato del Regno italico, come parte della sua pensione. Questi li fece trasformare in un mobile-biblioteca portatile e li tenne sino alla morte, agli inizi del XIX secolo. Nel 1805 furono riordinati da Gaetano Cattaneo, direttore della Zecca di Milano e procuratore della Certosa, con l’intenzione di presentarli all’Imperatrice Giuseppina come regalo della città di Milano. Entro il 1865, passarono nella collezione della famiglia Turina di Casalbuttano (Cremona) da cui entrarono nella raccolta di Giovanni Battista (1865) proprio tramite la famiglia della moglie, i Turina di Casalbuttano. I pezzi vennero allora collocati sulla parete di un piccolo gabinetto annesso alla biblioteca del Palazzo Cagnola (in via Cusani 5 a Milano) e poi spostati (a inizio Novecento) con un assemblaggio differente nella residenza di Costanzo, il Palazzo Stampa di Soncino Borgazzi, come documentano alcune fotografie di inizio Novecento ritrovate. Nel 1910 il Soprintendente Ettore Modigliani, nominato Direttore dell’Ufficio per l’Esportazione di Milano – a solo un anno di distanza dalla legge di tutela del 1909 – notificò tutti i rilievi provenienti dalla Certosa a Costanzo. Da una nota apposta su alcuni documenti di verifica degli anni Quaranta del Novecento, risulta che i pezzi furono “trasferiti clandestinamente” all’estero: come abbiamo già detto, i rilievi principali furono alienati a Morgan entro il 1912. Un altro rilievo è stato individuato recentemente in asta a Parigi (da Bergé, 2021); l’ultimo (quello che era assemblato nella cornice di cui abbiamo detto) rimane ancora da identificare.

 Ci può parlare di qualche altra opera della collezione?

Uno dei pezzi più rilevanti dell’asta è la Madonna con Bambino di Bartolomeo Veneto. Per tale opera furono offerte sino 39.000 lire. Grazie alle annotazioni reperite nell’Archivio della Fototeca di Federico Zeri, è stato possibile identificare il dipinto con quello pubblicato nella monografia sul pittore, ove era, tuttavia, considerato di ubicazione ignota. L’opera proviene dalla collezione dei Lattuata e da una missiva del 30 novembre 1916 di Clementina Mazzucchelli Lattuada ad Achille Majnoni (rinvenuta a Marti) è emerso che l’allora presidente della Metropolitan Opera House (il teatro di New York), «persona immensamente ricca», già nella primavera di quell’anno – dunque alcuni mesi prima dell’asta – aveva espresso il desiderio di acquisire un consistente nucleo di opere. In seguito alla vendita degli avori a Morgan, si dovette, infatti, diffondere negli Stati Uniti la notizia dell’asta della raccolta. Il presidente americano si era poi detto interessato all’acquisizione, in particolare, del Bartolomeo Veneto, di una “Madonna Tedesca (Cranach)” (ancora da individuare) e della Sacra Famiglia “del Sodoma” (oggi riferita a Francesco Brina: è l’opera scelta per la copertina del volume). La lettera precisa che il ‘Cranach’ e il ‘Sodoma’ furono venduti prima della proposta americana (dunque durante l’asta), mentre il Bartolomeo Veneto andò invenduto. Clementina fu in dubbio se venderlo in America a una cifra più alta – ma rischiando che l’affare si prolungasse “assai” – o più prudentemente a Milano, tramite Achille Majnoni.

Poco dopo Clementina depositò l’opera al Castello Sforzesco di Milano, assieme al celebre affresco staccato di Morazzone (con la Fucina di Vulcano), per proteggerla dai danni bellici.

Da un’altra missiva del 1920 emerge, infatti, che la trattativa non fu ultimata e che l’opera rimase presso i Lattuada, sino a quando fu il figlio di Clementina, Franco, a venderla con la collaborazione di Achille. Questi la propose ai Crespi presso cui l’opera è ancora oggi conservata.

Tra i dipinti più rilevanti vi è anche la tela riferita nel catalogo alla “Scuola di Poussin”, raffigurante una Allegoria mitologica, che raggiunse l’offerta non molto alta di 1.100 lire. In realtà si tratta di un’opera di Jacopo Zanguidi, detto il Bertoja, Venere scopre il corpo di Adone del 1566 circa, oggi conservata al Louvre di Parigi (inv. RF 1995-8). Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (X, 680-739) e l’opera proviene dal Palazzo del Giardino di Parma. Sino a oggi la collocazione nota era una collezione privata di Bologna, ove si trovava sino al 1945; entrò poi nella collezione di Laure de Beauvau-Craon a Parigi e il Museo del Louvre la acquisì da tale raccolta nel 1995, su consiglio di Pierre Rosenberg a cui si deve il merito dell’attribuzione al Bertoja. Viene considerata una “vera e propria gemma” nella produzione di Bertoja e un riferimento centrale per la ricostruzione del catalogo del pittore.

Oltre a quelle già individuate nel volume, altre opere dell’asta rimangono da identificare.