Nella prima giornata della sua visita in Ungheria, Papa Francesco ha incontrato nella concattedrale di Santo Stefano a Budapest, alle ore 17, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali.
Li ha invitati ad evitare due pericoli: il rinchiudersi “nelle nostre oasi religiose, comode e tranquille” o al contrario adeguarsi “ai venti cangianti della modernità, che è il peggio che può accadere alla Chiesa: una Chiesa mondana”.
E poi a “guardare alle tempeste che a volte si abbattono sul nostro mondo, ai cambiamenti rapidi e continui della società e alla stessa crisi di fede dell’Occidente con uno sguardo che non cede alla rassegnazione”. Di qui la necessità di guardarsi da due tentazioni: “Una lettura catastrofista della storia presente. Lettura che si nutre del disfattismo di chi ripete che tutto è perduto, che non ci sono più i valori di una volta, che non si sa dove andremo a finire”. Sull’altro versante “una lettura ingenua del proprio tempo, che invece si fonda sulla comodità del conformismo e ci fa credere che in fondo vada tutto bene. Che il mondo ormai è cambiato e bisogna adeguarsi, senza discernimento: è brutto quello”.
“Siamo chiamati a un’accoglienza aperta alla profezia”, la tesi del Papa. Cioè ad “imparare a riconoscere i segni della presenza di Dio nella realtà, anche laddove essa non appare esplicitamente segnata dallo spirito cristiano. E, al contempo, si tratta di interpretare tutto alla luce del Vangelo senza farsi mondanizzare, ma come annunciatori e testimoni della profezia cristiana”. “State attenti al processo di mondanizzazione: cadere nella mondanità forse è il peggio che può accadere a una comunità cristiana”, ha aggiunto a braccio.
LA DIFFUSI0ONE DEL SECOLARISMO
“Anche in questo Paese, dove la tradizione di fede rimane ben radicata, si assiste alla diffusione del secolarismo e a quanto lo accompagna”, ha aggiunto il Papa. Il che spesso rischia di minacciare l’integrità e la bellezza della famiglia, di esporre i giovani a modelli di vita improntati al materialismo e all’edonismo, di polarizzare il dibattito su tematiche e sfide nuove”.
Papa Francesco, ha messo in guardia il clero ungherese dalla tentazione “di irrigidirsi, di chiudersi e assumere un atteggiamento da combattenti”, e da una sorta di “paganesimo soft” oggi dominante. Al contrario, l’imperativo da raccogliere è quello ad “entrare in dialogo con le situazioni di oggi, saper ascoltare le domande e le sfide senza paura o rigidità”.
Tra le criticità attuali, Francesco ha segnalato “il sovraccarico di lavoro per i sacerdoti”: da un lato, infatti, “le esigenze della vita parrocchiale e pastorale sono numerose. Ma, dall’altro, le vocazioni calano e i preti sono pochi, spesso avanti negli anni e con qualche segno di stanchezza”. “Questa è una condizione comune a molte realtà europee, rispetto alla quale è importante che tutti – pastori e laici – si sentano corresponsabili. Anzitutto nella preghiera, perché le risposte vengono dal Signore e non dal mondo, dal tabernacolo e non dal computer”.
IL PAPA SOLLECITA A UNA RIFLESSIONE SINODALE
Secondo il Papa “c’è bisogno di avviare una riflessione ecclesiale – sinodale, da fare tutti insieme – per aggiornare la vita pastorale. Senza accontentarsi di ripetere il passato e senza paura di riconfigurare la parrocchia sul territorio, ma ponendo come priorità l’evangelizzazione e avviando un’attiva collaborazione tra preti, catechisti, operatori pastorali, insegnanti. Siete già in cammino su questa strada: non fermatevi”.
“Se siamo distanti o divisi, se ci irrigidiamo nelle posizioni e nei gruppi, non portiamo frutto, pensiamo a noi stessi, alle nostre idee, alle nostre ideologie”, ha ribadito Francesco. “È triste quando ci si divide perché, anziché fare gioco di squadra, si fa il gioco del nemico. Il diavolo è quello che divide, è la sua specialità, e noi vediamo i vescovi scollegati tra loro, i preti in tensione col vescovo, quelli anziani in conflitto con i più giovani, i diocesani con i religiosi, i presbiteri con i laici, i latini con i greci.
Ci si polarizza su questioni che riguardano la vita della Chiesa, ma pure su aspetti politici e sociali, arroccandosi su posizioni ideologiche”. “Non lasciate entrare le ideologie, quello è il lavoro del diavolo: il primo lavoro pastorale è la comunione”, l’aggiunta a braccio. Alla fine, un elogio ancora a braccio al “lavoro bello dei catechisti, che sono le colonne della Chiesa”.
NO AL CHIACCHIERICCIO
“State attenti al chiacchiericcio: sembra una caramella, molto dolce all’inizio ma che crea molto danno”, ha aggiunto a braccio, il Papa. “Cerchiamo di non essere rigidi, ma di avere sguardi e approcci misericordiosi e compassionevoli”, l’invito ai sacerdoti: “l’atteggiamento di Dio è vicinanza, compassione, tenerezza”.
“Quanti testimoni della fede ha avuto questo popolo durante i totalitarismi dello scorso secolo”, ha esclamato Francesco citando il beato Janos Brenner, ucciso a soli 23 anni durante la persecuzione nazista. Stare vicino “ai cristiani perseguitati, ai migranti che cercano ospitalità, alle persone di altre etnie, a chiunque si trovi nel bisogno”, l’altra raccomandazione del Papa.
Tra gli esempi di santità ha menzionato quello di san Martino: “Il suo gesto di dividere il mantello con il povero è molto più che un’opera di carità. È l’immagine di Chiesa verso cui tendere, è ciò che la Chiesa di Ungheria può portare come profezia nel cuore dell’Europa: misericordia e prossimità”.
SANTO STEFANO
Poi la menzione di Santo Stefano, nella concattedrale che ne conserva le reliquie: “Egli, che per primo affidò la nazione alla Madre di Dio, che fu intrepido evangelizzatore e fondatore di monasteri e abbazie, sapeva anche ascoltare e dialogare con tutti e occuparsi dei poveri. Abbassò per loro le tasse e andava a fare l’elemosina travestendosi per non essere riconosciuto.
Questa è la Chiesa che dobbiamo sognare: capace di ascolto vicendevole, di dialogo, di attenzione ai più deboli. Accogliente verso tutti e coraggiosa nel portare a ciascuno la profezia del Vangelo”. “Se ci saranno un milione di ungheresi in preghiera, non avrò paura del futuro”, ha concluso il Papa citando un proverbio popolare ed elogiando gli ungheresi per la loro “fede granitica”.