“Blue Monday, il giorno più triste dell’anno? Una trovata ricca di colore, che rientra nell’ambito della pseudoscienza o, meglio, nel costume della nostra società, ma che ha in sé alcuni elementi di realtà che possono essere descritti”. A dirlo è Cinzia Sacchelli, direttore del servizio di Psicologia Clinica di Asst Crema. Ricorre oggi, lunedì 16 gennaio, il giorno blu, definito come la giornata più triste dell’anno. Calcolato sulla base di un’equazione dallo psicologo Cliff Arnall dell’Università di Cardiff, è stato individuato come il giorno più infausto, dopo il rientro dalle vacanze natalizie, nel mezzo del freddo dell’inverno. Dunque, il momento giusto per ripartire. Per viziarsi, o concretamente, secondo gli studi condotti da Arnall, per regalarsi un bel viaggio.
Le richieste di aiuto sono in aumento
Terreno fertile per il marketing, non c’è dubbio. Di scientifico c’è poco. “Quel che è vero – spiega Sacchelli – è che le vacanze natalizie, al pari di tutto ciò che ci porta fuori dalla normalità, alterano la percezione. Lo stesso è avvenuto nel periodo post lockdown. Tutti abbiamo fatto fatica a rientrare, a rimetterci in gioco, a vivere una realtà meno autogestita e più richiedente. La routine quotidiana pretende ed è rapida. Lo vediamo e lo viviamo tutti, al lavoro o a scuola”.
Dopo le vacanze si è registrato “un aumento di richieste di aiuto. Il tempo trascorso in famiglia durante le feste può far emergere elementi di difficoltà. Confrontarsi con un tempo festoso quando non c’è niente da festeggiare o quando mancano le persone con le quali fare festa può far percepire questo come un periodo particolarmente stonato”.
I segni lasciati dalla pandemia
A ciò si aggiungono i segni lasciati dalla pandemia: “Sono aumentati gli stati di ansia e depressione. Per i minori anche comportamenti disregolati che portano alla messa a rischio di sé”. Ma la pandemia “non è l’unica causa”. Certo, ha “esasperato alcune tendenze in un clima di malessere generale. Se è vero che alcune difficoltà sono sorte con la fine del lockdown, dopo che alcune persone avevano iniziato a godere del rapporto inibito con la realtà esterna, è vero anche che alcune responsabilità sono da imputare all’evoluzione sociologica della realtà che ci troviamo a vivere. La nostra è una società sempre più narcisistica, consumistica, che educa alla soddisfazione dei propri desideri in modo quasi istantaneo. La gamma di opportunità è sempre più ampia, questo non fa sperimentare l’attesa, lo sforzo, la fatica. Si alimenta l’idea di poter avere tutto subito, con un’insofferenza al vincolo o alla messa in gioco. L’attesa è poco tollerabile”.
Il problema non è solo giovanile. “È anche giovanile”. Il tema del disagio tra i ragazzi “c’è da decenni”. Non è un male della nostra epoca. “Negli ultimi anni è aumentato lo stato di malessere della popolazione generale e giovanile: il fenomeno si è quindi esteso. Di contro, però, va detto che si sono fatti passi avanti dal punto di vista culturale: oggi c’è una maggiore consapevolezza del tema e un ridotto pregiudizio a chiedere aiuto”.
Si punta a fare rete
Il servizio di Psicologia Clinica punta a fare rete, a creare una connessione tra gli interventi psicologici svolti nei vari ambiti, ospedalieri o territoriali. “In passato – rileva la Sacchelli – si operava a compartimenti stagni, ora abbiamo compreso che l’obiettivo non è curare una patologia, ma prendersi cura di una persona, quindi non è possibile immaginarsi una presa in carico isolata e non dialogante”. L’approccio olistico è finalizzato “ad assicurare una continuità”.
La più recente riforma regionale promuove la presenza degli psicologi nella Casa di Comunità. In via Gramsci, il servizio punterà “a potenziare gli interventi psicologici di primo livello”. Lo psicologo nella Casa di Comunità diventa “un anello di congiunzione con la prevenzione, con i medici di base e i pediatri di libera scelta”. In equipe verrà integrata anche la figura dello psicologo di comunità che “agisce nei contesti esterni, in comunità, appunto. Da questo punto di vista sono già in corso interlocuzioni con gli psicologi scolastici”.
Perché il benessere non è un punto d’arrivo, ma parte della nostra quotidianità, una condizione da costruire e abbracciare, della quale prendersi cura ogni giorno.