Fino a domenica 25 settembre prosegue, presso le sale Agello del Museo Civico di Crema, la mostra Sileatur, del pittore Libero Donarini di cui proponiamo l’intervista a cura del critico d’arte Roberto Bettinelli.
Premesse
La mostra Sileatur racconta tutto il percorso umano e artistico di Libero Donarini dalla metà degli anni ’60 fino alle prove più attuali. Un tragitto che conduce l’artista nato a Trescore Cremasco nel 1946 fino ad approdare all’astrazione informale degli anni ’90 dopo un avvio figurativo per poi rilanciare nuovamente con una versione rinnovata della poetica figurativa a partire dagli anni 2mila. Una fase, quest’ultima, che ha visto Donarini protagonista di numerose esposizioni: ‘Dipinti e disegni’, ‘Il Me Dom’, ‘Le ore del silenzio’, ‘Ritorni naturali’, ‘Intervalli’.
Una pittura dunque, quella di Donarini, che onora una missione artistica dotata di lunga durata che non ha mai smesso di garantire una profonda coerenza rintracciabile nel tentativo di trasferire sulla tela il significato di un’esistenza umana profondamente connessa con i temi dell’infinito, del sacro, del divino. Una poetica che non ha mai smesso di rappresentare il silenzio inteso come atto di trascendenza e spiritualità. Ma ecco che cosa ci ha detto nell’intervista l’artista cremasco.
L’intervista
Come ha iniziato il suo percorso nel mondo dell’arte?
“Considero Giuseppe Perolini come colui che mi ha educato sul piano della tecnica e della sensibilità. È stato il mio maestro. Per un anno intero ho avuto la possibilità di seguire il suo corso di disegno e di pittura. Mi ha trasmesso un’idea del quadro che non faceva distinzione tra figurativo e astratto. Per lui non era importante il dato percettivo, ciò che era visibile agli occhi, ma ciò che era nascosto. Una visione che proveniva dal cubismo e dal futurismo”.
Si è dedicato immediatamente alla pittura?
“Ho desiderato a lungo essere un poeta. Ero affascinato dalla forza della parola. Dalla solitudine della parola. Ma con il tempo la pittura ha preso il sopravvento. Credo che alla fine sia stata la materia del colore a conquistarmi insieme alla possibilità di immaginare il silenzio. Volevo che il silenzio accadesse davanti ai miei occhi. La pittura, molto semplicemente, è stata più efficace per raggiungere l’obbiettivo. Cercavo il silenzio e l’ho trovato nella pittura di Piero della Francesca. Poi ho conosciuto l’umiltà di Giorgio Morandi. Una sensibilità, la sua, che sapeva interessarsi alle piccole cose del mondo. In entrambi riscontravo la presenza di un’arte votata alla raffigurazione del silenzio. Un’attitudine che ho ritrovato anche nella metafisica di De Chirico. Poi Campigli, Sironi e gli artisti di Novecento sono diventati punti di riferimento importanti”.
Dalla figurazione è poi approdato all’astrattismo.
“Ho sempre ammirato l’informale, ed in particolare Jean Fautrier, per la capacità di esaltare il dato materico. Mi ha spinto a concepire il lavoro in sequenza. Ho applicato questa metodologia ad alcune serie tematiche assistendo, tappa dopo tappa, ad un processo che premiava i valori formali rispetto alla fedeltà imitativa. Le forme conquistavano il diritto di manifestarsi senza la giustificazione di qualcosa che fosse al di fuori della loro esistenza. È stato un periodo cruciale del mio percorso. Afro e Mark Rothko, devo molto a questi due artisti. Con loro ho scoperto nuove potenzialità per indagare una realtà che ormai viveva prevalentemente dentro di me”.
Come descriverebbe il suo stile?
“Ritengo che il mio stile, proprio perché rivolto alla sintesi massima, sia debitore di un processo che è tutto all’insegna della sottrazione, del ‘togliere via’, dell’eliminazione del superfluo. La mia arte è sempre sintetica”.
Qual è lo scopo della sua pittura?
“L’uomo, attraverso l’arte, dona visibilità all’armonia e allo spirito. La pittura, per come la intendo, è ricerca del divino nel mondo. Ogni giorno registro fotograficamente le cose che più mi colpiscono nella vita del mio giardino e del mio orto. Fiori, piante, insetti, dettagli di natura. Un universo che non smette mai di sorprendermi per la sua bellezza”.
Le dice che il silenzio è la sua fonte di ispirazione.
“Le mie opere appartengono al silenzio. Non esiste all’interno dei mei quadri nulla se non il silenzio infinito che circonda le immagini e che è il segnale della presenza dell’eterno nella nostra vita. Gli spazi che dipingo non hanno confini e non sono soggetti alla forza di gravità. Tutto è leggero, lieve, infinito. La mia pittura equivale ad una contemplazione dell’assoluto e richiede il silenzio, definito dai poeti la voce autentica del divino, per essere concepita, realizzata e compresa fino in fondo”.