Centoventi anni fa, il 16 maggio 1902, nasceva a Ripalta Guerina padre Alfredo Cremonesi, divenuto poi missionario in Birmania dove, il 7 febbraio 1953, è morto martire. Un’uccisione in “odio alla fede” per la quale, dopo una lunga Causa, il Servo di Dio è stato riconosciuto Beato dalla Chiesa: la cerimonia s’è svolta nella Cattedrale di Crema il 19 ottobre 2019.
Nel 120° della nascita il vescovo monsignor Daniele Gianotti sarà a Ripalta Guerina questa sera: alle ore 20.15 il ritrovo presso la casa natale per un momento di preghiera, quindi la recita del Rosario e la processione verso la chiesa parrocchiale dove verrà celebrata la santa Messa.
Pubblichiamo la lettera che padre Alfredo scrisse esattamente 100 anni fa alla zia suor Gemma nella quale già prefigurava il suo martirio.
LETTERA DEL CHIERICO ALFREDO CREMONESI ALLA ZIA SUOR GEMMA
Carissima zia,
ho finito ora di leggere per la seconda volta la vita della ven. Suor Teresa del Bambin Gesù e ne sono entusiasmato, quasi direi, innamorato. Che gran santa! E che scrittrice! Certo fu guidata da Dio, e questo lo si constata visibilmente.
Questa introduzione, carissima zia, non è oziosa, ma ha il suo fine. Fu attraverso alla lettura di questa vita che ho sentito sensibilmente più forte in me la voce che mi spingeva per una via più bella e più aspra di apostolato e di sacrificio, che ho visto la verità dei miei grandiosi ideali, che credevo fisime di giovinetto superbo, che ho intuito che la voce che da tempo risuonava al mio cuore, non era puro effetto di esaltazione poetica giovanile, ma era voce di Dio. Non so se mai vi abbia detto qualche volta questi miei ideali, ma ora ve li dico per farvi meglio capire quello che oggi voglio svelarvi.
Il sogno più forte, più sincero di questa mia giovinezza è di diventare presto sacerdote veramente santo, apostolo non solo di un piccolo numero di anime, ma apostolo d’Italia, del mondo intero. Io piango ora e fremo vedendo quanto è offeso il Signore nel mondo, quanto fango insozza la gioventù specialmente e la società dei nostri giorni, quanta empietà dilaga e sconvolge la vita civile. E vorrei essere già prete, aver mille bocche per predicare giorno e notte la parola misericordiosa di Dio, per gridare agli empi superbi i fulmini della divina giustizia.
Vorrei avere mille mani per mettere in piedi tanti giornali sui quali gridare la novella buona che rigenera e risana. Vorrei infine morire martire della santa idea, con un sacrificio lungo e tormentoso, come una preghiera a Dio, come una vittima d’amore per placare la divina giustizia.
Ma questo non è tutto. Mi fanno una immensa compassione quei poveri infedeli dell’Asia, dell’Africa o dell’Oceania, che non hanno un altare ed un focolare, che vivono miseramente, soggiogati al giogo tirannico di Satana. Ed allora non mi basta l’Italia, penso che l’Italia ha già molte braccia che la possono salvare, mentre laggiù la messe è molta ma gli operai sono pochi.
Ed ecco che il sogno della mia infanzia, che alimentai durante tutta la mia malattia lunga e straziante, il sogno radioso di tutto questo anno di recuperata salute e di esuberante giovinezza, risorge potente, mi fa ribollire il sangue nelle vene, mi fa tumultuare gli affetti nel cuore.
Io voglio essere missionario! L’ho detto al mio direttore, il quale, nella sua prudenza, mi disse di ringraziare il Signore di questi buoni sentimenti, ma di non far nulla che potrebbe compromettermi per l’avvenire. Ed in questo ha ragione. Ma ciò non ha sbollito per niente i miei entusiasmi, anzi li ha aumentati, ed ora più che mai li sento ardenti nel cuore. Meglio essere missionario, correre per le lande inospiti e crudeli ad annunziare la buona novella, instancabilmente giorno e notte, a tutti e dappertutto, con la parola e con l’esempio, con la penna e soprattutto con la preghiera, e poi suggellare il mio apostolato con il martirio, fecondare con il mio sangue i germi che avrò gettato in quei solchi aridi ed incolti. Sono troppo presuntuoso? Sarà, ma io sono convinto che questi sentimenti me li ispira Iddio.
Per ora, dunque, non ci resta che pregare, intensamente pregare a questo scopo, perché si faccia in me quello che vuole il Signore. Se il Signore vorrà che io faccia il missionario in Italia e nella diocesi di Crema, allora cercherò di utilizzare qui i miei desideri di apostolato, di sacrificio, di preghiera, ed anche di martire che non sarà meno doloroso, se sarà incruento, più lungo e soprattutto nascosto agli sguardi profani. Se il Signore invece vorrà proprio rafforzare questo desiderio di essere missionario, allora renderemo grazie a Lui che, nella sua bontà, si serve di istrumenti inetti per le sue grandi opere. Intanto io con questa lettera ho solo inteso occupare le vostre preghiere per quel qualunque apostolato che il Signore mi affiderà.
Confidando di essere stato capito e sicuro di aver ora l’appoggio vostro mi dico
Vostro affezionatissimo nipote
Alfredo
Seminario di Crema, 17 maggio 1922