Siamo poveri e fragili, ed è per questo che dobbiamo lasciarci raggiungere dall’abbraccio di Dio, fidandoci di Lui. È, in estrema sintesi, il messaggio con il quale il vescovo Daniele ha aperto il cammino della Quaresima, presiedendo nel tardo pomeriggio di mercoledì 2 marzo, in Cattedrale, la santa Messa con l’imposizione delle ceneri. Quelle ceneri che, ricevute sul capo, ci ricordano appunto quanto sia fragile la nostra vita.
“Dio abbraccia la nostra fragilità”
Questa fragilità, ha rilevato monsignor Gianotti nell’omelia, noi cerchiamo di contrastarla in tanti modi e, fino a un certo punto, ci riusciamo anche: basti pensare all’allungamento medio dell’esistenza, alle tante risorse mediche, scientifiche, tecnologiche, cosmetiche e di ogni altro genere. Tutto questo perché, ha osservato, “noi in generale non amiamo la fragilità: solo che, nel tentativo di contrastarla, imbocchiamo spesso vie molto scivolose che possono condurci, nella migliore delle ipotesi, verso la ricerca dell’apparenza, verso la superficialità, l’ostentazione di noi stessi e dei nostri beni; ma, quando va peggio, ci conducono verso l’affermazione egoistica di noi stessi, verso il desiderio di possedere, di dominare, verso percorsi di rivalità e conflitti, i cui esiti estremi – non dobbiamo nascondercelo – sono anche quelli che vediamo purtroppo in questi giorni in Ucraina”. Mentre noi cerchiamo di sfuggire alla fragilità, ha proseguito il Vescovo, “Dio, invece, la abbraccia e la fa sua; ne fa, anzi, il luogo prediletto per manifestarsi e venire a noi. Dio non cerca di occultare la fragilità; non cerca di farla passare per quel che non è, di abbellirla con ritocchi esterni, anzi: la assume fino in fondo, fino ‘alla morte e a una morte di croce’, fino all’estremo più inconcepibile della fragilità”.
“Lasciatevi riconciliare con Dio”
Iniziando la Quaresima, dunque, siamo posti davanti a un invito: “Scegliere – ha spiegato monsignor Gianotti – fra il nostro atteggiamento spontaneo, che fugge la fragilità e prova a nasconderla, aggrappandoci alle risorse di questo mondo, e il modo in cui Dio abbraccia questa fragilità, per farla diventare luogo in cui si rivela la potenza dell’amore”. Quando pensiamo che “siamo polvere e in polvere torneremo” non ci dobbiamo abbattere, ma dobbiamo ricordare “che Dio ci è venuto a cercare proprio in questa fragilità, e che l’ha fatta sua, per mostrarci che essa non è da fuggire o da disprezzare. È venuto a salvarla, questa nostra fragilità; è venuto per farci vedere che Lui non la ritiene indegna di Sé. Ed è venuto a indicarci la via per la quale questa fragilità si può trasformare in pienezza di vita”. Il culmine di questa trasformazione lo contempleremo a Pasqua. Intanto, però, ha sottolineato il vescovo Daniele, “la Quaresima è un invito a metterci sulla via di questa trasformazione, di questa trasfigurazione. Ci viene proposto, anzitutto, di acconsentire a ciò che Dio fa per noi e in noi, perché si compia questa trasformazione: ‘Lasciatevi riconciliare con Dio’, questo è il primo invito che ci è proposto di accogliere. Prima ancora che ‘fare’ noi qualcosa, si tratta, infatti, di lasciar fare a Dio, e anche questo è riconoscimento positivo della nostra fragilità: da soli, con le nostre forze, con la nostra buona volontà, andremmo poco lontano”.
Fidarsi del Signore
Forte, quindi, l’invito: “Lascia fare a Dio; lasciati raggiungere dal suo abbraccio, dal suo desiderio di farsi solidale, nel suo Figlio Gesù, con la nostra fragilità creaturale e segnata dal peccato. Lasciamoci raggiungere da Dio, lasciamoci riconciliare con Lui”. A noi è chiesto di sgombrare il campo da tutte le fortezze che ci costruiamo attorno, così da accogliere ancor meglio il dono di Dio. “La preghiera, l’elemosina e il digiuno – ha indicato il Vescovo – sono uno strumento eccellente per questo: se non altro, perché contribuiscono in modi diversi a smontare il nostro ‘io’ ipertrofico che facciamo crescere a dismisura per contrastare la nostra fragilità, per fare posto ad altro o, meglio, per fare posto all’Altro e alla sovrabbondanza del suo amore, e all’altro che è il fratello, verso il quale imparare sempre più a tendere la mano, diventando fragili con chi è fragile, per crescere insieme in generosità e condivisione”.