Per celebrare degnamente la Giornata internazionale della Pace che l’Onu ha fissato per il 21 settembre, il segretario del Palazzo di vetro ha invitato “i combattenti di tutto il mondo a deporre le armi e osservare una giornata di cessate il fuoco globale”.
Le guerre di oggi
È un brutto risveglio per quanti si sono illusi che la ritirata delle forze armate dispiegate dall’Occidente per vent’anni (2001-2021) in un teatro lontanissimo e ostile come quello afghano, rappresentasse davvero l’inizio di un’era di pace. Per due ragioni fondamentali: il mondo è sempre in guerra e soprattutto c’è già chi, come il presidente americano Joe Biden, prefigura le guerre di domani.
Ma procediamo con ordine. Innanzitutto le guerre di oggi. L’elenco, purtroppo, è lunghissimo: dalla Siria alla Birmania, dall’Ucraina alla Libia. Per non parlare delle “guerre dimenticate” su cui la Caritas e i media cattolici, in splendido isolamento, hanno sempre tenuto i riflettori accesi. Soprattutto in Africa, eterna cenerentola della politica internazionale. Al continente africano spetta il triste primato, ma l’Asia non è da meno. Si tratta di guerre e conflitti di cui non abbiamo il bollettino quotidiano delle vittime e che raramente guadagnano le prime pagine. Ma sono popoli e persone spesso in balia delle guerre civili e dimenticati da tutti. Guerre e conflitti da cui l’Occidente si tiene lontano, salvo finanziare una delle parti in campo in base ai propri interessi nazionali o vendere armi e materiali bellici. Per poi pagarne le conseguenze quando masse incontrollate di profughi si muovono soprattutto in direzione dell’Europa.
È forse soprattutto a queste realtà che non sono sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale che pensa il segretario dell’Onu quando esorta a “scegliere la pace come unica opzione per riparare il nostro mondo distrutto”. Prima che sia troppo tardi e la natura, con la sua forza distruttrice, si schieri definitivamente contro l’umanità.
Le guerre di domani e la guerra delle forze naturali
Se c’è una guerra non dichiarata, ma quanto mai pericolosa e distruttiva, è quella delle forze naturali che si ribellano all’impatto scellerato dell’uomo sugli equilibri naturali. È quello che spinge Guterres ad affermare che “è tempo di ricostruire il nostro mondo e di fare la pace con la natura”. In fondo è esattamente quello che papa Francesco chiede al mondo intero, quando sostiene che “tutto è connesso” e che l’umanità si trova a un bivio: scegliere la pace e lo sviluppo sanando le ferite dell’ambiente, oppure condannarsi allo spegnimento lento e inesorabile del pianeta, cioè dell’unico luogo in cui ci è dato di vivere.
Ecco perché appaiono preoccupanti le mosse del presidente americano quando prefigura le guerre di domani, combattute dalle macchine (i droni ne sono solo l’avanguardia) e dalle armi elettroniche. E lo sguardo va immediatamente all’estremo Oriente e al gigante cinese. In questo orizzonte va inquadrato il recentissimo accordo (Aukus) fra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia per la difesa dell’area del Pacifico. Con il corollario della crisi dei sottomarini a reattore nucleare venduti dagli Usa all’Australia. Dunque, l’America di Biden si prepara, sono parole del presidente “ad affrontare il XXI secolo e le sue minacce in rapida evoluzione”.
Uno scenario che contraddice le aspirazioni dell’Onu a promuovere un tempo di pace per vincere la guerra della distruzione ambientale e piuttosto sembra preconizzare un futuro segnato da due tipi di guerre: quelle dei poveri (per l’acqua e il cibo) e quelle dei ricchi (per le preziose materie prime necessarie al dominio economico). Un incubo che, a cominciare da oggi, speriamo di evitare alle future generazioni. Se solo i combattenti di tutto il mondo ne avessero consapevolezza, sicuramente ordinerebbero l’immediato “cessate il fuoco”.