LIBRERIA CREMASCA – Storici dell’Arte in libreria; sabato 11 “Oltre la grande bellezza”

Sabato 11 settembre 2021, alle ore 17,30 nella sala conferenzedellaLibreria Cremasca, torna la rassegna dedicata agli storici dell’arte. Il diciottesimo appuntamento di ‘Storici dell’arte in libreria’ non vedrà la presentazione di uno studio su un artista o un periodo storico, ma una ricerca sulla condizione dei lavoratori del settore cultura in Italia. Sarà, infatti, presentato il libro Oltre la grande bellezza. Il lavoro nel patrimonio culturale italiano, a cura di Leonardo Bison e Marina Minniti, DeriveApprodi, Roma 2021. Si tratta della prima pubblicazione autonoma realizzata dall’associazione ‘Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali’. In esclusiva per “Il Nuovo Torrazzo”, intervistiamo la storica dell’arte Lisa Basilico e l’archeologa Ester Lunardon, attiviste dell’associazione che interverranno alla presentazione cremasca. 

Come nasce il collettivo ‘Mi riconosci’ e come è arrivato a essere un’associazione nazionale?

Mi Riconosci nasce come collettivo nel 2015, da una costola del movimento universitario Link, come campagna sull’accesso alle professioni dei beni culturali (alcune riconosciute parzialmente dalla legge 110/2014), ma già si proponeva una generale critica alla situazione del lavoro nei beni culturali.

Dopo la ribalta mediatica nel 2016, seguita alla denuncia del sistema di volontari del Servizio Civile per il Giubileo Straordinario, abbiamo continuato a crescere, dalla prima piazza sempre nel 2016, alla nostra prima assemblea nazionale nel 2017, fino ad arrivare alla sala stampa della Camera dei Deputati nel 2018 con la nostra proposta di legge sulla regolamentazione del volontariato culturale.

In questi anni abbiamo continuato a manifestare, a proporre alternative per la gestione del sistema culturale italiano e, soprattutto, siamo diventati un movimento nazionale.

Uno dei problemi principali per chi opera nel settore della cultura è che la propria attività viene vista come una passione o un hobby e non come un lavoro da retribuire nonostante l’alta professionalità acquisita in anni di studi universitari e postuniversitari. Come se ne esce?

Si tratta di una percezione causata anche dall’atteggiamento delle istituzioni che molto spesso affidano a volontari mansioni e compiti specifici, che sarebbero propri di un lavoratore qualificato. Questa situazione non solo crea concorrenza sleale perché si sa, se c’è la possibilità di avere un lavoratore che “costa” meno rispetto ad un altro viene impiegato il primo, ma di fatto preclude anche totalmente l’accesso al mondo del lavoro. Il volontariato inevitabilmente abbassa molto la qualità dei servizi perché ad un volontario non è richiesta, ovviamente, né la qualifica né la professionalità per quello che va a svolgere e crea lavoro nero. L’unico modo per uscirne è vigilare sui bandi e sulle assunzioni dei volontari. A questo proposito a dicembre 2020 Mi Riconosci ha fatto vari presidi in vari luoghi della cultura con lo slogan “Non è tempo libero”, proprio per mettere in discussione questa visione secondo cui gli spazi culturali svolgono un ruolo di mero intrattenimento o svago e possono essere piegati alla logica del profitto.

La pandemia ha reso evidenti i limiti dell’economia liberista, costringendo gli stati a intervenire in soccorso delle imprese private. In particolare nel settore della cultura hanno mostrato la loro inefficienza le fondazioni private a cui è stato conferito in gestione il patrimonio pubblico. L’esempio più lampante è quello dei Musei Civici di Venezia. Cosa è successo?

È vero, il caso veneziano è particolarmente emblematico di questa situazione. A febbraio siamo scese in piazza a manifestare dopo che la direzione della Fondazione Musei Civici di Venezia aveva deciso di tenere i lavoratori in cassa integrazione perché non c’erano ancora abbastanza turisti, facendo quindi intendere che se non ci sono i turisti a Venezia non serve a nulla aprire i musei. Questa è stata la gestione della crisi e delle chiusure della fondazione, l’idea di un servizio reso ai turisti e non alla cittadinanza. Negli ultimi mesi hanno riaperto pochi musei, solo quelli che fanno più ingressi, un’apertura fatta solo per stare nei bilanci, per garantire gli stipendi dei dirigenti a discapito delle lavoratrici e dei lavoratori che sono rimasti in cassa integrazione molto più a lungo di quello che era necessario.

Uno dei problemi più grandi del settore culturale è la carenza di personale. Limitandosi al solo Ministero della Cultura, quali sono i numeri dell’emergenza? 

Sì, nel Ministero della Cultura la situazione è abbastanza drammatica: si stima che sia sotto organico circa del 40%, nei prossimi tre anni la percentuale è destinata ad aumentare di molto per via dei pensionamenti, probabilmente arriverà al 70%. Anche nell’ipotesi più rosea di immediati concorsi questa situazione comporta che non ci sarà passaggio di consegne.

Quali sono le vostre proposte di legge in merito al riconoscimento delle professioni dei beni culturali e al volontariato? 

Nel 2018, come anticipato, abbiamo elaborato una proposta di legge sul volontariato culturale, che abbiamo presentato alla Camera dei Deputati in conferenza stampa. Si tratta di una proposta di modifica su alcuni articoli del Codice dei Beni Culturali e della Legge Ronchey che ad oggi permettono un abuso del volontariato culturale come sostitutivo al lavoro. Tali abusi possono avvenire proprio perché il volontariato culturale è attualmente deregolamentato. In questo senso, la nostra è una proposta molto pragmatica, che ha l’unico fine di specificare le modalità di inserimento di volontari nei nostri luoghi della cultura, in termini anzitutto quantitativi, fissando un limite massimo di volontari in proporzione al numero di personale regolarmente assunto, ma anche in termini qualitativi, riguardanti le mansioni, perché crediamo che attività, come ad esempio quella della guida, della didattica, dell’inventariazione, richiedano competenze che vanno riconosciute professionalmente ed equamente retribuite.   

Non vi limitate a questo, ma avete lanciato l’ambiziosa proposta di un Sistema Culturale Nazionale. Di che cosa si tratta?

La nostra ultima proposta, che è anche quella più ambiziosa e articolata, prevede una riforma radicale del modo in cui è attualmente gestito il nostro Patrimonio Culturale. È una proposta nata nell’aprile del 2020, quindi in pieno lockdown, in un momento di crisi gravissima, soprattutto per il mondo del lavoro culturale; la crisi si è manifestata, secondo noi, non tanto per il verificarsi di una situazione eccezionale, ma per i malfunzionamenti già normalmente insiti nel sistema di gestione dei beni culturali italiani. Nell’esigenza di cambiare quindi dalle fondamenta questo stato di cose, abbiamo proposto quello che abbiamo chiamato Sistema Culturale Nazionale, ispirandoci al Sistema Sanitario Nazionale e ai principi di accessibilità. Abbiamo cercato un modo di rendere la Cultura un servizio pubblico, qualcosa quindi di finalizzato prima di tutto alla fruizione della cittadinanza. Con questo scopo, pensiamo che tutti i luoghi della cultura dovrebbero essere messi a sistema e poter ricevere finanziamenti pubblici molto maggiori di quelli presenti ad oggi, a patto di rispettare degli standard minimi, che riguarderebbero sia la qualità del servizio, come ad esempio gli orari di apertura, sia le condizioni di lavoro. In questo modo, gli istituti culturali, dalle biblioteche ai musei, dagli archivi alle università, sarebbero da un lato messi nella condizione di funzionare adeguatamente tramite i fondi sufficienti, e, dall’altro, sarebbero obbligati a rispettare delle linee guida sulla qualità e sul lavoro. Questo il nocciolo della proposta: lo Stato, nel rispetto pieno della Costituzione, dovrebbe porre delle regole adeguate alla tutela del Patrimonio Culturale e dei diritti di chi vi lavora, facendo in modo che i nostri Beni Culturali siano davvero fruibili da tutta la cittadinanza e finalizzati prima di tutto al bene comune. Si tratta chiaramente di una proposta molto ampia, che in questa sede non possiamo articolare maggiormente, e anche di una proposta aperta e ancora in via di definizione, che vorremmo entrasse sempre di più nel dibattito pubblico.