“Non si possono fare referendum su tutto. Ci sono diritti inviolabili della persona, previsti nei primi articoli della Carta costituzionale, che non sono sottoponibili a referendum”. Non ha dubbi il giurista Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma, commentando al Sir l’annuncio, lunedì, da parte del Comitato promotore del referendum “Eutanasia legale” e dell’Associazione Luca Coscioni di aver raggiunto le 500mila firme per il cosiddetto “referendum sull’eutanasia”. “Per questo – aggiunge – confido che la Corte costituzionale dica che è un quesito che va ben oltre le intenzioni perché mira ad abrogare una norma che corrisponde a un principio costituzionale intangibile quale l’integrità fisica degli esseri umani. La mia speranza è che il referendum non venga ritenuto legittimo. Laddove lo fosse, certamente ci sarà una campagna referendaria che deve essere ricondotta a una piena informazione dei cittadini, non com’è stato finora nella raccolta delle firme. Confido che gli italiani possano così comprendere che non si tratta di eutanasia, ma di abrogare una norma sull’uccisione su richiesta, per i motivi più svariati, fuori dai paletti indicati dalla Corte costituzionale”, la quale ha espressamente richiesto una legge sul fine vita con la sentenza 242 del 2019, riguardante il caso Cappato-dj Fabo. La legge dovrebbe tradurre il verdetto con il quale la Consulta due anni fa depenalizzò in alcune circostanze l’assistenza al suicidio. “Anche se sul piano morale personalmente non sono d’accordo, sul piano giuridico-legislativo non c’è dubbio la Corte costituzionale abbia aperto un varco con la richiesta al Parlamento di legiferare: in chiave istituzionale, questo è un punto di non ritorno – ammette Gambino -. La legge dovrebbe contemplare nel modo più armonico possibile la tutela delle fragilità. C’è, infatti, il rischio, come dice Luciano Violante, che l’eutanasia diventi la morte dei poveri perché chi chiede di morire talvolta è in condizioni di malattie insopportabili, ma in tanti casi sono situazioni di solitudine, di abbandono, di indigenza”. Il giurista ammonisce: “Se nelle corsie di ospedale dovesse passare il principio che si può firmare il consenso per la morte su richiesta con la somministrazione di un farmaco letale, le categorie più vulnerabili, proprio perché non hanno nessuno accanto, potrebbero essere portate più di altre ad assecondare questo esito”. Gambino avverte: “C’è anche un discorso un po’ cinico: tutto questo consente anche di abbattere i costi della sanità. Non vorrei che fosse uno dei motivi reconditi, non dichiarati anche di questo referendum”.
“Vorrei richiamare l’attenzione sul modo in cui è stato proposto il referendum ai cittadini come se fosse sull’eutanasia, ma in realtà è un modo distorto di far percepire la portata dell’iniziativa, che non è sull’eutanasia: come tutti gli altri referendum non può fare altro che abrogare delle leggi e, in questo caso, una parte dell’articolo 579 del Codice penale, che riguarda il cosiddetto omicidio del consenziente”, spiega il giurista Alberto Gambino. “I cittadini italiani pensano di aver firmato a favore di una legge sull’eutanasia, invece hanno firmato a favore dell’abrogazione di una parte di un articolo del Codice penale di grande civiltà, perché vieta a una persona di ucciderne un’altra su richiesta. Dico che è una norma di civiltà perché in Italia e nel mondo occidentale vige il principio di solidarietà, il che implica che ciascuno di noi è responsabile anche per gli altri. Se qualcuno chiede di essere ucciso e un altro esegue, in Italia questo è un reato”, precisa Gambino, secondo cui “abrogare questa parte dell’articolo 579 va molto oltre il tema dell’eutanasia, che si circoscrive a situazioni di gravissima patologia, legate a stati irreversibili, a dolori insopportabili. L’articolo 579 non si occupa di questi casi. Così, se il referendum fosse dichiarato ammissibile e si abrogasse quella parte dell’articolo in questione, nel caso in cui una persona fosse presa dallo sconforto e chiedesse a un altro di ucciderlo su richiesta non sarebbe reato, ma così si rompe il legame di solidarietà tra gli esseri umani”.
Il giurista, ricordando che “in Italia non esistono referendum propositivi ma solo abrogativi”, esprime dubbi sulla possibilità che “la Corte costituzionale ritenga legittimo questo quesito che va molto oltre le intenzioni” dichiarate all’opinione pubblica opinione, cioè di “una legge sull’eutanasia”. “Questo lo ritengo molto grave – afferma Gambino -. Ed è ingannevole proprio come è stato proposto all’opinione pubblica: è stato chiesto se si è favorevoli all’eutanasia e quindi di firmare. Ma non è così, una volta abrogata questa parte dell’articolo 579 si dovrebbe approvare una nuova legge che circoscriva la non applicabilità del reato ai soli casi di eutanasia e che recuperi una parte del Codice penale abrogato. Nessuno può immaginare che se una persona uccide un altro su richiesta possa essere immune dalla pena”.
Anche il fatto di aver raccolto una parte delle firme on line, a giudizio del giurista, “ha ulteriormente ridotto la consapevolezza e la percezione della collettività su quanto sottoscritto con un semplice click, riducendo il tempo dell’approfondimento che normalmente si fa quando una persona si trova ad un banchetto, parla con i promotori, ragiona”.