“La situazione è davvero tesa, da questa mattina la circolazione è nulla e le strade della capitale sono vuote, c’è una attesa preoccupante di quello che accadrà nelle prossime ore e giorni”. A parlare al Sir è Chiara Zampaglione, operatrice di Caritas italiana ad Haiti, che commenta l’omicidio del presidente Jovenel Moïse e il ferimento della moglie, gravissima in ospedale, nella propria abitazione, per mano di un commando armato. “Il brutale assassinio del presidente fa seguito ad un crescendo di violenza perpetrata dalle bande armate, che stanno proliferando nel paese facendo leva sul senso di impunità generale e sull’assenza di istituzioni in grado di porre argine a questa instabilità – osserva l’operatrice umanitaria -. Il Paese è allo stremo, la popolazione è in ginocchio, c’è un senso di anarchia generale sullo sfondo di una crisi politica ed economica, aggravata da una nuova ondata di Covid-19”.
Già da più di un mese, prosegue, “in alcune zone della capitale è in corso una guerra tra bande per il controllo del territorio, questi conflitti armati stanno paralizzando la città con il blocco delle principali vie d’accesso e stanno esacerbando la crisi umanitaria in un Paese dove quasi la metà della popolazione sta affrontando un’insicurezza alimentare elevata e acuta”.
I DRAMMATICI EVENTI
Sono ancora da accertare le circostanze dell’assassinio del presidente di Haiti, Jovenel Moise, confermato nella tarda mattinata di MERCOLEDì (ora locale) dalle autorità haitiane, in particolare dal primo ministro Claude Joseph, il quale ha affermato che Moise è stato assassinato nella sua residenza privata da un commando “formato da alcuni elementi stranieri”, che parlavano inglese e spagnolo, aggiungendo di aver egli stesso assunto i poteri provvisori di capo dello Stato. Il premier ha invitato alla calma la popolazione e assicurato che la polizia e l’esercito manterranno l’ordine, cosa che in realtà non avviene nel Paese da ormai quasi tre anni. La moglie del presidente è rimasta ferita nell’attacco ed è ricoverata in ospedale.
Fin dal 2019, infatti, erano montate le proteste della popolazione, in seguito all’aumento del prezzo del carburante e all’emergere dello scandalo nell’ambito del programma di sviluppo Petrocaribe, avviato dal Venezuela dell’allora presidente Hugo Chávez: molti politici si erano indebitamente appropriati dei fondi destinati alle fasce più deboli della popolazione. Da allora la situazione, in quello che è il Paese più povero del Continente americano, è andata degenerando, con l’aumento indiscriminato di bande violente, atti di criminalità e rapimenti, che hanno gettato nel terrore il Paese. La situazione non era stata certo agevolata dal presidente Moise, che in modo unilaterale aveva indetto un referendum per cambiare la Costituzione (previsto per il 27 giugno e poi rinviato), assieme alla scelta di rinviare a settembre le elezioni presidenziali e di accorparle a quelle legislative. In merito al referendum, la Conferenza episcopale haitiana, che in tutti i modi si era adoperata per il dialogo e la pace, aveva scritto tra l’altro: “La decisione di cambiare la Costituzione non va presa in mezzo ad una crisi politica in cui è difficile trovare un consenso diffuso per uscire da essa. Continuare a insistere spingerà il Paese in una crisi ancora più profonda. L’attuale situazione sociale e politica, caratterizzata da divisioni, diffidenze e violenze di ogni genere, non è affatto favorevole a un progetto di tale portata, che ha come condizione la messa in comune di tutte le forze vitali della Nazione”.
“Aiuteremo la gente di Haiti, il governo di Haiti in qualsiasi modo se ci sarà un’indagine”, si fa sapere dalla Presidenza Usa, aggiungendo che la Casa Bianca “sta ancora raccogliendo informazioni”.