Domani, prima domenica di Avvento, nelle chiese italiane verrà adottato nella liturgia il nuovo Messale. Sono passati 50 anni dalla pubblicazione del Messale Romano di Paolo VI, primo frutto del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II: ora i Vescovi italiani ne hanno preparato la terza edizione con una rinnovata traduzione. L’hanno approvata nel novembre 2018 (195 “placet” e 5 “non placet”), è stata definitivamente confermata da papa Francesco il 16 maggio 2019 e lo scorso 29 agosto gli è stata donata la prima copia. Diventerà definitivamente obbligatoria dalla prossima Pasqua (4 aprile 2021).
Le novità per il popolo non sono moltissime. La più rilevante in assoluto è la modifica del Padre Nostro; da domani si dovrà dire: … come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non abbandonarci alla tentazione… Formula alla quale molti fedeli sono già abituati.
Notevoli invece le novità per il sacerdote celebrante (e quindi di riflesso anche per l’assemblea): sono stati aggiunti sei nuovi prefazi, le preghiere eucaristiche notevolmente aggiornate, inserite numerose parti musicali che indicano come il canto non sia più un’opzione, ma diventi strutturale. Aggiunti anche tanti nuovi santi lungo l’anno liturgico.
Non sono comunque mancate le polemiche. Innanzitutto sulla modifica del Padre Nostro e sull’affermazione non abbandonarci alla tentazione. Non è il caso di soffermarci. Faccio rilevare, invece, e con dispiacere che nel calendario dei santi i tre grandi pontefici del secolo scorso Giovanni XXIII, Paolo VI e il grandissimo Giovanni Paolo II sono stati sì inseriti, ma solo come memorie facoltative. Come mai? E desta ancora maggior stupore che, nello stesso calendario, non appaia la memoria di santa Teresa di Calcutta (dovrebbe essere il 5 settembre), donna (!) e una delle testimonianze più luminose e forti del XX secolo. Incomprensibile!
Al di là di queste osservazioni, non possiamo non accogliere con positività la riforma del Messale. Ma attenti a non ridurre tutto a un cambiamento di formule. Come evidenzia la presentazione della Cei, il nuovo Messale deve diventare un’opportunità per rilanciare la liturgia, soprattutto quella della Messa, riscoprirne la bellezza, i gesti, i linguaggi, i significati. Il Messale può diventare un’“occasione di formazione del popolo a una piena e attiva partecipazione”.
Non basta infatti cambiare qualche formula perché, ad esempio, i giovani corrano tutti in chiesa: bisogna proporre una liturgia gioiosa e attrattiva, che sia sentita come parte della propria vita. Apriamo un dibattito!
Giorgio Zucchelli