(da Tokyo) – In Giappone un’amicizia tra un giovane “hikikomori” e un prete italiano può salvare una vita. È accaduto a padre Andrea Lembo, 45 anni di Treviglio (Bergamo), superiore regionale del Pime, da 10 anni a Tokyo. Il missionario parla il giapponese bene come l’italiano e quando racconta le sue intense giornate si accende di entusiasmo. Nella sua amata terra di missione, che sognava già prima di partire, padre Andrea ha incontrato un popolo da evangelizzare e ne ha conosciuto anche le ombre. Il Giappone è il Paese con il più alto tasso di suicidi al mondo (uno ogni 15 minuti, 30-35.000 l’anno nonostante una campagna di prevenzione governativa). Spesso nelle più affollate fermate della metro di Tokyo – la vita qui si svolge nelle stazioni – si vedono alte barriere di cemento per impedire alle persone di gettarsi sotto le rotaie.
“Purtroppo sono diminuiti i numeri ma l’età si è abbassata fino a 12 anni – riferisce il missionario -. Ho saputo di insegnanti che leggono in classe avvisi di questo tipo: se scegliete di suicidarvi non su quelle linee e in quegli orari”. Il governo prevede perfino multe ai familiari di chi si suicida perché rallentano il servizio pubblico. Inammissibile nella megalopoli di 30 milioni di abitanti più tecnologica ed efficiente del mondo, con le sue 28 metropolitane e i suoi impeccabili treni urbani. “Non c’è famiglia che non abbia attraversato una tragedia di questo tipo”, confida il missionario.
Gli “hikikomori” che si isolano dal mondo. È qui che nasce anche il fenomeno degli “hikikomori”, i giovani che scelgono volontariamente di isolarsi dal mondo rinchiudendosi in una stanza, per cui l’unico contatto con l’esterno avviene tramite internet.
Gli “hikikomori” sono circa 500.000 in Giappone (su 127 milioni di abitanti), e il triste trend si va diffondendo anche in Italia.
Spesso sono vittime di bullismo, giovani che vivono come un fallimento insuperabile gli insuccessi scolastici, la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro o un licenziamento. Dai primi anni di scuola fino all’azienda, il giapponese medio va incontro ad aspettative altissime, con ritmi di studio e lavoro fortemente stressanti. A scuola tutti i giorni della settimana, 12 ore al giorno di lavoro, pochissimi giorni di ferie. Non è un caso che nei vagoni delle metropolitane, dove è assolutamente proibito parlare al cellulare, quasi tutti dormano, perfino in piedi. L’ansia quasi maniacale di perfezione, e una gentilezza formale che non lascia trapelare le emozioni, rendono questo popolo spesso incapace di gestire la crisi e l’insuccesso, visto come un’onta.
E a volte dall’isolamento alla depressione, fino al suicidio, il passo è breve.
Un argomento che rientra bene nel tema della visita di Papa Francesco in Giappone dal 23 al 26 novembre prossimo: “Proteggere ogni vita”.
Un prete per amico.
“I ragazzi non sanno cosa è un prete. Gli diciamo che è uno che si intende di cose del cuore”,
racconta padre Andrea parlando dei suoi incontri con i giovani a cena, davanti al sushi e ad una birra. È nella sua prima parrocchia alle porte di Tokyo che padre Andrea incontra Ko He, appena ventenne. Al secondo anno di università decide di lasciare gli studi, la famiglia ed affittare un gabbiotto in un internet café a 500 yen al giorno (circa 4 euro) per ritirarsi dal mondo. Padre Andrea viene a sapere che le sue uniche uscite all’esterno sono per prostituirsi con altri ragazzi. È l’unico modo che ha pagarsi le spese della sua autoreclusione. “Veniva sfruttato e umiliato durante stupide feste che chiamano ‘Love party’. Era sul punto di suicidarsi”, confida: “Per convincerlo a desistere gli ho fatto capire che io e i suoi familiari non meritavamo di soffrire perché lui voleva togliersi la vita”.
“È nata un’amicizia molto bella e dopo due anni sono riuscito a farlo uscire dall’internet café. Ora mi aiuta come volontario in parrocchia e lavora in un centro per anziani”.
Povertà nascoste. I cattolici iscritti alla sua piccola parrocchia sono 800. È l’unica chiesa cattolica di Fuchu, una zona benestante di Tokyo dove le povertà sono molto nascoste.
Quelle interiori sono le più pesanti, anche perché non c’è l’abitudine di andare da uno psicanalista.
In alcuni casi si va dallo psichiatra, che cura con psicofarmaci: “Le mamme dicono alle maestre di ricordarsi le pillole per i loro figli di sei o sette anni, perché devono essere perfetti”. Solo da poco iniziano a nascere centri “per la cura del cuore” con psicologhe volontarie. “Per me è un grande peso confrontarmi con i suicidi giovanili – ammette -. Ogni volta che succede bisogna rielaborare a livello interiore quanto accaduto, si sente il fallimento del proprio lavoro”. Un prete giapponese che aveva vissuto un lutto di questo tipo in famiglia gli disse: “Tu non puoi capire perché sei straniero”. In Giappone il suicidio deriva infatti da una antica consuetudine dei guerrieri sconfitti in battaglia, per questo è forse ancora culturalmente e socialmente accettato. “Dicono che è un modo per liberarsi dall’inferno di una vita che, con la modernità e i ritmi di lavoro stressanti, è costretta a subire una pressione sociale troppo forte – spiega il missionario -. In una società fondata sul confucianesimo, nella quale l’individuo è al servizio della comunità, significa togliere il disturbo dal mondo, non essere più un peso per gli altri”.
La scelta del futuro. Un’altra caratteristica della società giapponese è voler indirizzare i propri figli verso la scelta del proprio futuro scolastico e lavorativo in giovanissima età, intorno ai 10 anni.
“I giovani dovrebbero avere la libertà di scegliere da soli la propria strada”,
auspica invece Yumi Takahashi, insegnante e fondatrice della “Scuola della gioia”, il doposcuola parrocchiale che ogni sabato aiuta i ragazzi che non possono pagarsi questo tipo di studi. “Spero che la visita di Papa Francesco abbia un impatto positivo non solo sui cattolici ma su tutti i giovani, anche quelli che ancora non lo conoscono – afferma l’insegnante –. È un uomo di pace, può aiutarli ad allargare gli orizzonti sul mondo intero e ad interessarsi dei problemi della società”.