La salma di don Vito Groppelli, morto tragicamente venerdì nel tardo pomeriggio, investito da un’autovettura a Offanengo, sta giungendo in questo momento (ore 16.30) presso la casa parrocchiale di Offanengo dove verrà esposta per la preghiera. Le esequie si terranno giovedì 14 dicembre alle ore 15 nella chiesa parrocchiale di Offanengo.
L’ESPERIENZA MISSIONARIA DI DON VITO
Don Vito Groppelli, nato a Crespiatica nel 1939 e ordinato sacerdote il 27 giugno 1964, dopo aver svolto per cinque anni il ministero sacerdotale come vicario nella parrocchia di Scannabue e per altri tre a San Michele, nell’aprile del 1972 è volato in Paranà, nel Brasile del Sud, come sacerdote Fidei Donum.
Un’esperienza singolare, la sua che gli ha consentito di realizzare in pienezza la vocazione missionaria avuta “fin da ragazzino, ma consolidata e chiarita durante i tredici anni di studio in seminario”, come attesta egli stesso. Evidenziando la particolare attenzione prestata dai superiori alla formazione missionaria, declinata nella promozione di giornate missionarie mensili, incontri con missionari, letture di riviste specializzate…
Dopo aver inizialmente pensato di entrare in un Istituto orientato verso l’Africa, accolse l’appello di Giovanni XXIII in favore dell’America Latina, scegliendo di terminare gli studi a Crema e farsi le ossa in diocesi, prima di spiccare il volo, restando comunque incardinato nella stessa per “continuare a essere ‘espressione’ sua in campo missionario”. Per questo la scelta di agganciarsi al PIME, che gli ha consentito appunto di mantenere il legame giuridico con la Chiesa d’origine ed essere sacerdote per quella Universale.
Nel 1972, dunque, la partenza per il Brasile (ancora via mare) come primo sacerdote italiano associato all’Istituto, esercitando per oltre quarant’anni il suo ministero nella diocesi di Londrina. Con una parentesi di due anni nei quali si trasferì a Salvador da Bahia per accompagnare una nuova esperienza missionaria voluta dal compianto vescovo di Crema monsignor Angelo Paravisi.
“In Brasile ho avuto la grande fortuna d’avere come punti di riferimento missionari del Pime espulsi dai paesi asiatici con una ricchezza umana ed esperienze di sofferenza – ricorda don Vito – che mi hanno aiutato a rendermi conto che la missione è quella che il Signore ti mette davanti e ho potuto identificarmi con la realtà di una diocesi, Londrina, nello stato del Paranà, grande tre volte l’Italia e che oggi ha più di un milione di abitanti.
“Qui mi son messo a servizio – prosegue – coadiuvando nel discernimento vocazionale di ragazzi aspiranti missionari, provenienti da una quindicina di altre diocesi, diventando poi rettore e docente di un po’ tutte le aree della teologia.”
“La regione del Paranà è molto fertile e produceva canna da zucchero e caffé su terreni per la gran parte di proprietà dei ricchi possidenti – racconta ancora don Vito – che non pagavano i salari regolarmente, ma ogni sei, sette o anche otto mesi, in un Paese con l’inflazione molto alta. L’evidente situazione di grave ingiustizia sociale non poteva lasciare indifferente la Chiesa locale. E l’assemblea dei vescovi, presieduta dall’arcivescovo Geraldo Fernandez mi incaricò di fare una ricerca per documentare le situazioni di disagio. Assumendosi tutta la responsabilità dello scandalo seguito alla successiva diffusione sulla stampa brasiliana dei risultati che mettevano in evidenza le grandi ingiustizie perpetrate dai ricchi.”
“A quel tempo – rammenta don Vito – nell’America Latina era forte la Teologia della Liberazione, che era però molto ideologica, fattore che ne costituiva la fragilità. Potendo essere strumentalizzata, come in effetti è avvenuto anche in Brasile, da chi ambiva al potere.”
“Così, mentre i governanti hanno rafforzato il proprio partito e dirottato risorse del Paese a finanziare nazioni amiche, in particolare Cuba – prosegue – la gente è rimasta in maggioranza povera, ma molto solidale e capace di svestirsi anche del proprio poco per darne a chi ha di meno. E il popolo ha continuato a sentire che la Chiesa le era vicina e cercava di far valere i loro diritti, battendosi per la giustizia.”
“In Brasile – sottolinea – i laici vivono un cristianesimo di ampio respiro. La loro corresponsabilità ecclesiale non è soltanto teoricamente riconosciuta, ma anche concretamente vissuta. Se la Chiesa in Brasile cammina speditamente – aggiunge – lo deve a una moltitudine di cristiani totalmente disponibili in campo pastorale, che limita le conseguenze della grande scarsità di clero.”
Diventato vicario generale – incarico ricoperto in continuità al fianco di quattro vescovi – don Vito svolgeva anche attività pastorale presso alcune parrocchie nei dintorni della città. Percependo i forti disagi e le grosse difficoltà delle famglie presenti, s’è poi specializzato in psicoterapia familiare.
L’impegno in questo ambito l’ha successivamente portato a iniziare – nel 1982, anche con l’aiuto determinante di amici cremaschi – la realizzazione di una struttura per l’accoglienza temporanea di nuclei familiari e persone in difficoltà. E l’ha chiamata Nazaret santuario della famiglia, perché, spiega, “la Chiesa è una vera famiglia”.
“Abbiamo cominciato con una decina di ragazze madri, buttate fuori casa dai genitori – racconta don Vito, non senza una certa nostalgia – che restavano da noi per un periodo nel corso del quale cercavano di ritrovare i compagni e convincerli a riconoscere il figlio, a farlo battezzare e a prendersene cura. E dall’affrontare le emergenze, la nostra struttura è via via diventata un po’ una facoltà per i consiglieri familiari, riconosciuta dall’Università cattolica di Salvador Bahia.”
“Il Centro – aggiunge – era costituito inizialmente da un fabbricato con la residenza delle suore e 6 camere per l’accoglienza temporanea di persone in difficoltà, a cui sono stati aggiunti una cinquantina di apparentamenti per famiglie, un teatro e una chiesa. L’attività prosegue oggi con le suore, a cui ho lasciato tutto, a condizione che nel giorno in cui non saranno più in grado di gestirlo lo regalino a una istituzione che possa portare avanti l’attività.”
In questi quarant’anni don Vito s’è mantenuto in costante rapporto con i confratelli cremaschi, ai quali ha inviato circa tre lettere ogni anno per aggiornarli sulla situazione in Brasile e la sua attività, potendo contare sulla disponibilità di un amico che ha provveduto puntualmente a ciclostilare e poi fotocopiare gli scritti, per distribuirli a tutti.
“Questo dialogo epistolare – fa osservare – mi ha tenuto vivo e presente in diocesi, ha eliminato la distanza geografica e temporale. E, ora che sono rientrato, mi sono reso conto che non è stata una fatica vana, perché ha contribuito a sensibilizzare anche i laici al problema missionario, a cosa fa la Chiesa in Brasile. Paese nel quale ha compiuto grandi passi in campo catechetico e pastorale, dando notevoli esempi di rinnovamento, proprio perché ha ricevuto aiuti dalle consorelle di tutto il mondo.”
Lo scorso anno, per volontà del vescovo Oscar Cantoni, don Vito è rientrato in diocesi e attualmente è ospite presso una sorella a Offanengo, celebra Messa al santuario della Pallavicina o, in occasione delle festività, aiuta qualche confratello nelle singole parrocchie.