È in corso, presso la sede della Pro Loco in piazza Duomo a Crema, la mostra Una signorina cremasca dipingeva negli anni ’20-’30 del ‘900, dedicata a Clelia Girbafranti. Hanno organizzato la Pro Loco stessa e il gruppo culturale cremasco L’Araldo.
L’inaugurazione è avvenuta sabato scorso alle ore 17.30 con la presenza di un folto pubblico. Ha aperto l’incontro il presidente della Pro Loco prof. Vincenzo Cappelli, ringraziando l’Araldo e la signora Carla Lucchi Campari, figlia della Clelia Girbafranti e presente alla cerimonia, che ha messo a disposizione le opere. “Un’artista – ha detto – che vale la pena di valorizzare.”
A sua volta il presidente dell’Araldo Mario Cassi, ha ringraziato la Pro loco, la signora Carla e tutti i presenti. “A quel tempo – ha soggiunto – per una donna dipingere e affermarsi era un po’ difficile. Clelia era figlia d’arte e si dilettava non solo di pittura, ma anche di ricamo e di altro” (alcune bacheche ne dimostrato l’attività).
La presentazione della pittrice (di cui è esposto alla mostra un busto-ritratto di Girbafranti che la rappresenta da piccola) è toccato al dott. Gian Maria Carioni: “La Girbafranti – ha detto – ha vissuto in un humus artistico: il padre, il nonno e lo zio erano artisti, scultori e architetti. E mentre le donne del tempo si dedicavano al ricamo, alla musica, che erano comunque un arricchimento culturale, Clelia ha avuto la fortuna di affrontare la pittura.”
Nei quadri della donna, prevalentemente copie di tele celebri, c’è un po’ di tutto: nature morte un po’ macchiaiole, marine, ritratti. La sua era un’attività di scuola, con tanta voglia di imparare. “Non stiamo parlando di una pittrice – ha continuato Carioni – ma di una signora che ha evoluto il suo bagaglio culturale anche con la pittura. Comunque tutte le nature morte sono di ottima fattura, gli altri soggetti sono un po’ più di scuola, ma compiti sempre ben eseguiti”.
La mostra è aperta fino a domenica 15 ottobre.
CLELIA GIRBAFRANTI – BIOGRAFIA
Nonostante a quei tempi (anni 1920-30) la pittura femminile fosse ostracizzata, la signorina Clelia Girbafranti dipingeva sotto la guida di un abile maestro come il. prof. Armando Merighi (autore anche di opere non pittoriche, quali fra l’altro la colonna votiva di piazzale delle Rimembranze in città). La casa di San Bernardino era stata costruita da papà Massimo Girbafranti, capomastro (allora non esisteva la facoltà di architettura), mentre il gran cancello e le inferriate erano state disegnate dal fratello, lo scultore Enrico Girbafranti. Una famiglia di “artisti” insomma, compreso il nonno Guerino, pure capomastro. A Crema, per esempio, sono opere di Massimo Girbafranti molte ville sul Campo di Marte, il Seminario e soprattutto lo splendido campanile della chiesa di San Bernardino fuori città, mentre il cimitero è ricco di cappelle e monumenti di Enrico.
Clelia era nata il 14 febbraio 1907; abitava nella villa di proprietà ancora oggi visibile in via Brescia 62, mentre durante l’estate si spostava per mesi a Selvino dove papà Massimo aveva costruito una villa un po’ scenografica. Tutt’intorno un bel giardino e molte altre ville del primo Novecento di notabili bergamaschi, tra cui la famiglia Gavazzeni. Clelia dipingeva anche lì (vedi fra i quadri esposti quello sulla Cornagera presa dal vivo). Durante l’inverno frequentava l’Istituto delle Suore Marcelline (a Genova e a Cannes) per imparare il francese e ciò che una signorina di buona famiglia doveva sapere. Clelia ricamava anche, ovviamente. Nel 1933 le nozze con il dr. Vittorio Campari (oriundo della zona di Pavia) che lavorava al Credito Commerciale di Milano, di cui fu anche direttore. In seguito alla perdita dell’amatissima mamma Carla Patucelli (bresciana, figlia di un garibaldino), Clelia non volle più dipingere né usare il pianoforte, che era solita suonare a quattro mani con la mamma stessa. Dal matrimonio nacquero due figli (Carla nel 1935 e Vittorio Massimo nel 1940), la guerra, la perdita della villa di Selvino per ragioni ereditarie e una vita comunque serena con marito e figli, vacanze estive sulle Dolomiti e, in vecchiaia, vacanze invernali al mare.
Scomparve nel 1976. Ora restano (alla figlia Carla) i quadri e il ricordo di una dolce signora, dai sentimenti delicati, benvoluta da tutti, che è stata anche una mamma esemplare e molto amata.
LA PRODUZIONE ARTISTICA
Di Clelia Girbafranti (1907-1976) ci sono pervenuti solo diciassette dipinti, ai quali si aggiungono altre tre tele di cui si sono perse le tracce alcuni anni fa in seguito ad un furto.
I dipinti, ad olio su tela, vennero realizzati tra il 1923 e il 1936, in gran parte sotto la guida del suo maestro, il pittore e scultore Armando Merighi (Bologna 1861 – Soncino 1934), formatosi nelle accademie di Bologna e di Torino e divenuto direttore della Scuola di Disegno Artistico ed Industriale di Soncino.
All’epoca la produziorie artistica costituiva una professione riservata quasi esclusivamente agli uomini, ma le signorine di alto lignaggio potevano dedicarsi all’esercizio pittorico all’interno di un percorso di educazione alle arti, come testimoniato ariche dalia cremasca Camilla Marazzi (1885-1911). Clelia sembra mossa da un’innata predisposizione, unita a forti motivazioni, che le consentono di raggiungere una certa vivacità di tratto, scioltezza nelle posture e nella definizione delle espressioni fisionomiche dei personaggi, superando così certe rigidezze legate all’esercizio di “copia”.
La maggior parte dei suoi dipinti sono infatti copie di tele di artisti di fama, realizzate – con tutta probabilità – per esercitarsi nella resa dei personaggi, nelle strategie compositive e nella disposizione di oggetti in prospettiva come prevedeva l’iter formativo delle accademie.
I soggetti spaziano dal paesaggio, al ritratto dal vero, alla natura morta, a scene di vita quotidiana e temi sacri. In sole due occasioni abbiamo dipinti di sua ideazione: un paesaggio (Cornagera vista da Selvino) e un ritratto (Ritratto di Valeria, una giovane vicina di casa).
Tra i “maestri” ispiratori ricordiamo Pietro Perugino (1446-1523), Bartolomé Esteban Murillo (1617-1682), Domenico Morelli (1826¬1901), Luigi Rossi (1853-1923) ed Emilio Longoni (1859-1932), artisti che permettono di spaziare dal classicismo, al caravaggismo, alla pittura romantica, al verismo e al simbolismo. Tra i soggetti di carattere sacro troviamo un Busto di Madonna (1931) che si ispira ad un particolare della Madonna col Barnhino e i santi Giovanni evangelista e Agostino di Pietro Perugino in Sant’Agostino a Cremona, mentre lo Sposalizio mistico di sarita Caterina (1927) riproduce una nota tela di Bartolomè Esteban Murillo (Città del Vaticano, Pinacoteca), che rivela qualche incertezza nelle proporzioni delle figure. La versione di Clelia sui bordi del telaio presenta segni di quadrettatura, la tecniCa utilizzata per riportare il disegno preparatorio sulla tela.
Più armonico dal punto di vista compositivo, nonostante le maggiori dimensioni, è Mattinata fiorentina (1930), derivata da un prototipo di Domenico Morelli (1826-1901) che – secondo canoni romantici – evoca la Firenze della fine XV secolo e, come in un arazzo delimitato da un fregio floreale, riunisce musici e poeti tra àrchitetture rinascimentali.
Due tele si addentrano nel filone sociale, mostrando scene di vita quotidiana: la prima, derivata da La piscinina di Emilio Longoni (olio su tela, 1895, collezione privata), descrive una bambina, lavorante di una modista, che trasporta una cappelliera. La seconda è invece dedicata ad un gruppo di contadine che. cantano all’avvio della loro giornata lavorativa nei campi, scena tratta da Il canto dell’Aurora (1933) di Luigi Rossi (Lugano, Museo civico di Belle Arti, 1911-12), che si riallaccia al filone simbolista. A vedute di paesaggio sono dedicate tre tele: una Marina, un Paesaggio con appia di buoi che avanzano in un ruscello (1929), che evidenzia richiami alla pittura romantica vicina a Serafino de Tivoli e ad Antonio Fontanesi. Un terzo dipinto, di invenzione della giovane pittrice, raffigura Cornagera vista da Selvino (1932) ed è dedicato alla ripresa dal vero di luoghi cari a Clelia che aveva modo di frequentarli per lunghi periodi nella stagione estiva.
Alle difficoltà della resa fisiognomica porta il Ritratto di Valeria, una giovane vicina di casa (1933), che Clelia ci presenta sottolineando ne i grandi ed espressivi occhi scuri e isolandone la figura contro uno sfondo neutro e privo di qualsiasi ambientazione di tempo e di luogo.
Il gruppo più numeroso è costituito da nature morte di fiori (Vaso di rose rosse, Natura morta di fiori, 1932) e di frutta (Tavola con natura morta di frutta, verdura e fiasco di vino (1923), Tavola con cesta di frutta rovesciata, limoni, vaso e cardi (1926), Natura morta con ciliegie, brocca e bicchiere, Natura morta con libro, pesche e vaso, Alzata con pesche e brocca, Natura morta con cesta di frutta e noez), che denotano accurate esercitazioni sull’incidenza della luce sui diversi materiali e nella resa di scene complesse popolate di oggetti e frutti scalati in prospettiva. Alcune di queste tele sono più essenziali, presentano un minor numero di oggetti e frutti che vengono presentati in modo più netto e freddo secondo moduli espre~sivi che vanno ad imporsi nel secondo decennio del XX secolo.