Ripercorrere un anno di statistiche, ricerche, analisi sul nostro Paese è un modo per disegnare uno dei possibili ritratti dell'Italia del 2016.
Un anno soltanto, ma quanta acqua è passata sotto i ponti se a gennaio il Rapporto Eurispes può registrare che la fiducia degli italiani nel governo Renzi è aumentata di dieci punti e che la distanza tra cittadini e istituzioni si sta accorciando. Anticipatrice risulta invece l'individuazione di una “diffusa e radicata sindrome del Palio di Siena la cui regola principale è quella di impedire all'avversario di vincere, prima ancora di impegnarsi a vincere in prima persona”. L'Eurispes coglie i primi segnali di ripresa, ma allo stesso tempo la persistenza di una crisi sociale ben lontana dalla soluzione. E questo sarà un leit motiv anche nei rapporti dei mesi successivi.
Ad aprile il Rapporto Osservasalute lancia l'allarme sul calo delle vaccinazioni, scese sotto l'obiettivo minimo del 95% di copertura entro i 2 anni di età. Dietro questo dato c'è un altro dei fenomeni che caratterizzeranno il 2016, quello dell'incidenza devastante delle bufale diffuse via internet, così pervasive da far parlare addirittura di “post-verità”.
A maggio arriva il Rapporto annuale dell'Istat che certifica per l'Italia “un primo, importante momento di crescita persistente, anche se a bassa intensità”. Ma a dispetto di certi indicatori economici “nella sostanza il Paese non va più avanti” e “sempre più trentenni rimangono in casa con i genitori, si formano meno famiglie, nascono meno bambini”. Appena un mese dopo, a giugno, è ancora l'Istat a rivelare che nel 2015 “il numero dei residenti ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novant'anni”. Il saldo negativo complessivo è di 130.061 unità: l'apporto degli immigrati, peraltro in flessione, non è più sufficiente a compensare la bilancia demografica.
Gli immigrati, appunto. A luglio il XXV Rapporto di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes smentisce a suon di dati lo strumentale allarmismo su una presunta “invasione”. In un anno l'incremento è stato appena dell'1,9% e la quota di persone straniere sul totale della popolazione, a differenza di quanto accaduto in Germania e Gran Bretagna, resta sostanzialmente invariata, con un valore di poco superiore all'8%.
Passata l'estate, settembre è la volta del Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, da cui tra l'altro emerge che il 73,7% degli italiani usa internet. È un record. L'indagine anticipa uno dei temi-chiave del rapporto di fine anno del Censis: “Gli strumenti della disintermediazione digitale si stanno infilando come cunei nel solco di divaricazione scavato tra élite e popolo”.
Una divaricazione che trova alimento in quelle disuguaglianze sociali, in quella polarizzazione tra chi ha di più e chi ha sempre di meno su cui punta lo sguardo, a ottobre, il Rapporto su povertà ed esclusione sociale della Caritas. A partire dal dato Istat sulle persone in stato di povertà – il più alto dal 2005 a oggi: quasi 4,6 milioni – l'indagine è preziosa perché integra le statistiche ufficiali con gli elementi raccolti nei centri di ascolto delle Caritas diocesane. Si scopre così che per la prima volta donne e uomini sono praticamente alla pari (in passato erano le prime a essere più numerose) e che si tratta in netta maggioranza di disoccupati o inoccupati (60,8%) e di stranieri (57,2%). Il Rapporto accende i riflettori anche sulle condizioni di povertà estrema dei rifugiati e dei richiedenti asilo, il cui dramma non si esaurisce nella fase acuta dell'arrivo e della prima accoglienza.
A novembre il tema delle disuguaglianze torna con il Rapporto Svimez sul Mezzogiorno. Nelle regioni del nostro Sud, infatti, il rischio di cadere in povertà è triplo rispetto al resto del Paese. Eppure il dato principale del Rapporto apre uno spiraglio: sebbene in ritardo rispetto alle altre aree, l'economia delle regioni meridionali ha ripreso a crescere dopo sette anni di crisi ininterrotta. Sempre a novembre, l'Istat riesce a strapparci un sorriso con l'inaspettata rimonta dei matrimoni, che nel 2015 sono stati 4600 in più dell'anno precedente, tendenza confermata dai dati dei primi mesi del 2016. Si tratta di cifre tutte da interpretare e che non autorizzano entusiasmi. Però il dato c'è e fa piacere registrarlo.
A dicembre tocca al Censis tirare le fila. Il suo 50° Rapporto vede un Paese che non investe sul futuro (dal 2007 gli italiani che hanno potuto sono riusciti ad accumulare 114 miliardi di euro di liquidità), in cui i figli sono più poveri dei nonni e in cui anche il lieve recupero dell'occupazione si perde nei rivoli dei “lavoretti”. Eppure secondo il Censis la società italiana continua a mostrare una grande capacità di reggere nel quotidiano, di “ruminare” i fattori esterni che la investono, di cicatrizzare le sue ferite. Piuttosto preoccupa la faglia che si è aperta tra potere politico e corpo sociale, mentre le istituzioni non riescono più a “fare cerniera”. Si riparte da qui.